martedì 14 giugno 2016

PERCHE' LA PASSIONE

Tutte le persone di buone volontà hanno sempre cercato di sentirsi parte delle loro comunità, della società, si inizia a scuola nell’occupare un proprio posto, a darsi una certa immagine, così poi negli affetti ed anche in seguito nel lavoro, allora diventa per noi un bisogno il fare qualcosa per la nostra società. Immagino che in quell’epoca, nella prima metà del XX secolo quando l’autotrasporto nasceva e prendeva importanza nel modernizzare il sistema economico, fosse forte negli uomini il concetto della famiglia, della comunità, mi piace immaginare così quelle persone, per me dei veri e propri pionieri, mentre si costruivano i primi camion, giorno dopo giorno dalle piccole autovetture si forgiavano automezzi pronti e adatti ad aiutare l’uomo nei cantieri e nelle industrie. Uscivano dalle officine dove la ricerca era la sintesi del lavoro di tutti gli addetti che, unendo la loro fantasia, il loro mestiere e lo stile italiano, in un contesto originale di artigianato, mettendo appunto del loro in tutto quello che facevano, gli permetteva di creare macchine moderne ricavando solamente dalle loro idee, derivate dalla cultura di questo nostro popolo, le novità per realizzarle funzionali e belle, nuove e utili, costruite per cambiare la vita degli uomini, della società, innovazione e affidabilità erano le mete da perseguire.
Allora si considerava straniero chi abitava nella provincia accanto, tutto il sapere era confinato nell’ambito della città che viveva autosufficiente e fiera del suo saper fare. Le officine, con le macchine utensili, dove nascevano i primi mezzi pesanti erano luoghi ideati e costruiti grazie alle capacità delle persone occupate poi nelle medesime, difatti erano le stesse maestranze che costruivano le attrezzature e gli impianti, per mezzo delle quali potevano poi fabbricare gli automezzi iniziando a lavorare dalla materia prima o da grezzi semilavorati,  in quanto non esisteva la possibilità, come anche in tutti gli altri settori dell’industria, di acquistare sul mercato impianti di produzione già progettati e realizzati con i quali costruire un camion pronto all’uso, inoltre non dobbiamo dimenticare che, per fare vivere l’impresa, anche la rete di vendita doveva essere gestita con una primitiva organizzazione sia della commercializzazione che dell’assistenza degli autocarri da loro costruiti.
Erano veramente dei manufatti gli automezzi costruiti in quei laboratori, ne sono testimonianza preziosa i racconti dei meccanici di allora, oggi si fatica a capire di bronzine fatte a mano con la lima e il colorante usato dall’operaio per capire dove togliere metallo per avere un identico spessore su tutto il pezzo, oppure per le parti più grandi del motore, come il monoblocco, il lavoro degli “animisti” che con l’uso di speciali e naturali resine, nelle buche scavate nella terra, creavano con queste un reticolo in modo che dopo la colata del metallo fuso la materia da loro usata diventasse polverulenta e al suo posto, nel pezzo finito, rimanessero i condotti per il passaggio del liquido di raffreddamento o del lubrificante. Voglio ricordare le parole di un meccanico il quale mi disse: “Avessi avuto anche solamente il lubrificante sintetico in commercio dagli anni settanta anziché quello estratto dai prodotti naturali usato comunemente, il quale doveva essere scremato dalle impurità del motore e dalla polvere delle strade di allora dopo soltanto qualche migliaio di chilometri”, tanto per farmi capire di quella meccanica che aveva sempre bisogno di enormi cure, revisioni, capace di reggere per poco tempo e per pochi chilometri se confrontata a quella di oggi.
Così doveva apparire un’officina a quei tempi, un motore elettrico e cinghie di cuoio e pulegge di rinvio del movimento per muovere i parecchi attrezzi corredati con i diversi utensili, e rumori cadenzati da ritmi che, imperfetti ma regolari allo stesso tempo, erano ascoltati attentamente dagli operai mentre lavoravano, in modo da cogliere se questi variando il suono potessero essere soggetti a rotture. Ambienti imparagonabili alle officine odierne, dove la pulizia di superfici lucide e colorate protegge le apparecchiature dotate delle centraline elettroniche, le quali diagnosticano i guasti dei nuovi motori funzionanti grazie alle capacità di calcolo dei microcircuiti al quarzo!
Era ancora fresco il ricordo di carri e carrozze costruite in quelle officine anche se, credo, già quelle persone si sentissero padrone del futuro sapendo di aver imboccato una via vincente. Difatti quei motori diesel, quei nuovi pneumatici, il potente sistema che governava i freni e, più alla vista di tutto, le cabine in legno ma già chiuse, poi rivestite di lamiera battuta, assemblati tra loro, facevano di quelle macchine fra le novità più moderne per quei tempi.
Veramente in pochi lustri, prima della ii guerra mondiale, i meccanici e i carrozzieri avevano superato con il loro lavoro il presente nel quale vivevano. Era più moderno il lavoro fatto in quelle officine che quello di certi ambienti artistici, letterari o figurativi quali fossero, dove solo pochi artisti compresi nel filone del futurismo, vedi Marinetti e Mazzotti, Boccioni o Balla come anche Dappero, ne capivano l’importanza proponendo poesie, racconti, quadri e oggetti in ceramica di inconfondibile, moderno e innovativo stile, il quale aveva come soggetto, appunto, il prodotto di quella nuova industria. Penso così che da queste persone, dalle loro idee, dalle loro capacità realizzative si comprenda l’origine e da dove nasce la passione per i camion, e da questo per la riconoscenza, l’ammirazione e il rispetto dovuti a questi uomini noi più giovani ne alimentiamo altra ancora. La Liguria è la terra dove sono nato e cresciuto, dove ho osservato muoversi sulle strade e nei porti questi meravigliosi amici, “Fari nella nebbia” è un film degli anni quaranta girato tra Acqui e Savona, attraverso il passo appenninico del Cadibona, passando per Spigno Monferrato tipico esempio di una realtà contadina che aveva saputo cogliere, senza disprezzarla, la novità del traffico creato dagli autocarri ai quali sapeva offrire qualsiasi servizio, compresa l’ospitalità nelle famose trattorie o l’assistenza delle officine meccaniche, ricevendo in cambio la ricchezza portata da chi passava in questo crocevia tra l’operoso nord e le regioni del Mediterraneo dove si trovavano i porti, ormeggio delle navi provenienti o dirette in qualsiasi parte del mondo. Questo paese, intelligentemente aperto a nuove economie, purtroppo oggi è dimenticato così come tanti altri meravigliosi borghi o paesi per via delle autostrade, questi centri hanno finito di vivere e di far vivere le loro comunità a causa di queste nuove strade che cinicamente e superbamente accolgono tutto il traffico sulle loro strisce d’asfalto, ed ancora possiamo dire non si integrano con il paesaggio e tantomeno con la vita dei luoghi dove ne subiscono il danno, impoverendo a mio parere l’Italia intera. E’ da scenari come questi, proposti da vecchi film, dai quali riusciamo a farci un’idea di come si viveva, il parlare, l’atteggiarsi, il vestirsi di quei tempi deve farci immaginare quale aria si respirasse, quali fossero gli odori, la vita di quel meraviglioso tempo.
Alla ferrovia si affidava il trasporto sulle lunghe distanze sia delle persone che delle merci, la strada, la “camionale” arrivava dopo e allora non c’era strada ferrata che non si intrecciasse con le nuove strade, non c’erano cavalcavia o sottopassi in quanto infrastrutture costose per il traffico dei pochi automezzi di allora, da Albisola a Celle Ligure, in quei tre chilometri di Aurelia che fiancheggia il mare, erano ben tre i passaggi a livello che bisognava oltrepassare. I paracarri di pietra, la terra, le tante curve e le biciclette, il poco traffico di autoveicoli era la scenografia che rappresentava la strada in quegli anni e gli attori che la calcavano, cimentandosi in quello che noi adesso consideriamo un veloce e breve spostamento, allora era affrontato come un lungo e impegnativo viaggio.
I carri ferroviari venivano caricati e trainati su tipici bassi carrelli, avevano otto assi sui quali montavano sedici ruote di gomma piena oppure trentadue pneumatici radiali, partivano dai binari morti dei parchi merci presenti in tutte le stazioni delle ferrovie per raggiungere le fabbriche dove venivano guidati con i trattori zavorrati della Girelli di Verona sin dentro ai capannoni, superando strette curve e piccoli spazi di manovra col solo vantaggio di avere tutti gli assi sterzanti. Non c’era comune che non avesse il dazio con la pesa pubblica e la stazione ferroviaria completa di edifici belli alla vista perché sempre conservati efficienti e funzionali sia per le persone che per le merci, lo stile uguale in ogni paese anche per “la piccola”, diminutivo apposto a una costruzione che serviva da magazzino con al fianco una robusta e grande gru a manovella sempre presente come i segnali a bandiera, poi le “marmotte” erano altri aggeggi meccanici con dentro una luce bianca o rossa per la notte dedicati agli scambi, le tante luci della stazione ferroviaria rendevano l’ambiente fiabesco quando ancora passavano le locomotive a vapore oppure quelle elettriche dette a trifase, i tanti ferrovieri diretti dai capistazione svolgevano con disciplina il loro importante lavoro, facendo vivere quel luogo per tutte le 24 ore del giorno in armonia con le altre attività del Comune.
Ogni città, ogni paese, ospitava molti siti produttivi di qualsiasi genere, era un mosaico di attività anche grandi e importanti, specialmente se caratteristiche del luogo, ed è in questo contesto così laborioso ed energicamente attivo dal quale si originò e sviluppò il trasporto su strada. La seconda guerra mondiale lasciò veramente terra bruciata su tutto il paese, nel dopoguerra erano ancora molti i musoni che si facevano vedere mentre viaggiavano, troppo bello era scorgere sulla strada l’ESATAU 864/112 della LANCIA, ma già l’OM 400/8 e poi, sempre negli anni ’50, il 682 N 2 della FIAT davano definitivamente la svolta alla soluzione moderna mostrando il profilo spartano della cabina avanzata, si appoggiava sopra al motore riducendo il passo della motrice e portando grandi vantaggi sia per le manovre, in quanto l’automezzo accorciato aveva bisogno di meno spazio, che per la capacità di carico acquisendo robustezza nel telaio.
Queste scelte premiavano le qualità tecniche degli automezzi a discapito della bellezza, difatti la carrozzeria di un musone italiano è un’opera di stile, ricordiamoci degli OM 137 oppure dei LANCIA a cominciare dalla serie dei “RO” come anche degli ISOTTA FRASCHINI carrozzati da ZAGATO, incontrando adesso i camion a cabina avanzata, nominati dai camionisti con il termine “unificati”, li associamo al codice della strada redatto nel 1933, poi aggiornato nel 1936, questi primi codici indirizzavano i costruttori a produrre degli automezzi confacenti alle normative riguardanti misure e sagome, pesi e tare come anche le disposizioni delle luci, allontanandosi sempre di più dal produrre autocarri tipici degli anni venti, ormai avi di questi degli anni trenta. Gli anni trenta in Italia rappresentano un periodo molto importante per l’evoluzione dell’autotrasporto pesante, perché è in quel decennio che i costruttori sfornano modelli veramente innovativi dotando i camion di nuovi motori, principalmente a ciclo diesel, come anche della trasmissione dotata di differenziale e di cabine chiuse, in legno e rivestite di lamierati battuti, cominciando così a dare una forma all’automezzo che si staccava da quella tipica dei due decenni precedenti. Ricordiamo il FIAT 15 TER o il FIAT BL o BLR, la trasmissione comprendeva una catena che univa due ruote ad ingranaggi, uno collegato ad un alberino del cambio e l’altro posto sull’asse posteriore, se confrontiamo questi mezzi con il magnifico FIAT 632 presentato appunto nel 1932 alla fiera di Milano, con questo capiamo il salto di qualità che le firme migliori italiane avevano saputo fare in così pochi anni. I legislatori del tempo si erano trovati obbligati a redigere in pochi anni due codici, nel 1933 e nel 1936, le novità si susseguivano e parecchi aspetti dovevano essere normati per garantire sicurezza alle persone, qualità agli automezzi e modernità alla viabilità su quelle strade che cominciavano ad essere sempre più trafficate. Le luci sugli autoveicoli erano tutte raggruppate a sinistra vicine alla targa posteriore, questo per quanto concerneva gli autoveicoli sino ad una larghezza massima di 1,80 m., obbligando quelli che la superavano a segnalare l’ingombro della sagoma con luci, bianche davanti e rosse dietro, fissate sulle estremità. Anche per la segnalazione del cambio di direzione il codice prevedeva tre differenti possibilità di equipaggiamento, la prima con sbarrette metalliche provviste di luce fissa o catarifrangente, un comando meccanico le alzava indicando la direzione che avrebbe preso il veicolo, la seconda comprendeva due luci color arancione in sostituzione delle citate sbarrette metalliche e la terza richiedeva sei luci, sempre di color arancione, disposte a terne simmetriche sul davanti, ai lati e dietro, le quali, azionando il comando elettrico posto sul piantone del volante, lampeggiassero dalla parte dove si voleva svoltare. Il codice indica la scelta da effettuare di uno di questi tre sistemi specificando che, siamo sempre nel 1936, questo doveva essere utilizzato qualora la cabina del veicolo fosse stata di tipo chiuso, in quanto dentro tale tipo di cabina, l’autista non avrebbe potuto segnalare l’intenzione di svoltare sporgendo il braccio, vedete come il codice descrivesse, nel gesto del conducente di sporgere il braccio, un modo di vivere semplice e come fossero in uso sistemi meccanici poveri rispetto a soluzioni, benché già esistenti, costose in quanto dotate di motori e comandi elettrici, destinati a corredare gli autoveicoli di gran lusso prodotti in pochi esemplari. Ribadiamo che nessuno è partigiano per la burocrazia ma il codice della strada fu un fulcro recettore delle idee di chi costruiva i camion come anche un binario sicuro che delimitava, con le sue norme, i diritti e i doveri dell’utenza a favore della sicurezza delle persone.
Fiat 15 Ter
Torniamo sulla camionale, dicevamo che il traffico aumentava e i modelli si diversificavano, sia perché prodotti da diverse case fedeli ai propri stili, sia perché queste, volendo primeggiare sul mercato con vendite crescenti, proponevano diversi tipi di modelli cercando di soddisfare i bisogni delle varie categorie di clienti, perciò la gente vedendoli iniziava a conoscerli ed a confrontarli, questo anche relativamente agli autocarri, dal vecchio 3 RO LANCIA agli OM sempre più potenti come il SUPERORIONE ad otto cilindri, agli ALFA ROMEO sino ai FIAT. Gli autobus in città per la linea si chiamavano SIAI MARCHETTI, CANSA o, presentando il modello Monotral, la VIBERTI o la MACCHI e la CALABRESE, tutte carrozzerie specializzate nel fabbricarli senza mancare del tipico “gusto” italiano, nel trentennio che ricopriva l’ante e il post guerra abbiamo veramente avuto un saggio di capacità tutta italiana. Tutto il parco macchine che si andava formando la gente lo notava, gli sfilavano davanti agli occhi questi nuovi automezzi, portando con loro tutta la bellezza e la potenza armonicamente fuse fra loro, senza farsi mancare le personalizzazioni create dalle diverse carrozzerie che mettevano fantasiosamente in circolazione dei fuori serie, modificando cabine e quanto a loro sembrava di poter migliorare e rendere più grintose le macchine.
Noi ragazzi, negli anni del dopoguerra, è dalle automobili e dai camion che ci accorgevamo di come stesse cambiando l’Italia. Ogni modello nuovo lo notavamo subito, ci si voltava per guardarlo curiosamente, facendone motivo di critica nei discorsi più partecipati, attratti dalle forme come dal rumore, sino ai minimi particolari. Sulla strada c’era il futuro, la vita, il volerne far parte in ogni modo, è da lì che nasceva la passione. Il momento dal quale scaturiva l’era moderna industriale, a mio modesto parere, era rappresentato e mostrato al popolo proprio dall’autotrasporto con le case di produzione degli automezzi, la rete stradale, le ditte specializzate nella movimentazione delle merci come anche delle persone sia sulle linee che per il turismo, tutto questo espandersi di attività offrì posti di lavoro a tanti nuovi addetti che, lasciando l’agricoltura, vi entrarono a farne parte entusiasti e partecipi. Il trasporto su gomma ha fatto valicare quei confini che avevano caratterizzato le attività locali delle comunità basate, per tanto tempo, sulle risorse tipiche del posto, trasformando le produzioni e il commercio, unendo le capacità di quegli uomini sino ad allora limitate alle esperienze del ristretto orizzonte del paese.
Tutto rapidamente evolveva, in quanto velocizzando e facendo diventare sempre più grandi le produzioni, favoriva una massa sempre più grande di utenti, di consumatori. Chissà forse i giovani di quel tempo sentivano queste motrici, questi autocarri, come un ingigantimento fisico di loro stessi, delle loro braccia, delle loro gambe e dentro quelle cabine si ritenessero gratificati nel governare quelle macchine mentre spostavano pesi e quantità di merce tali da necessitare, sino a poco tempo prima, di decine di uomini per soddisfare la stessa quantità di lavoro. Mi ricordo in quegli anni, quando bambino l’altezza dei miei occhi raggiungeva appena il telaio di quei camion, a febbraio, marzo o comunque prima della fine dell’inverno, parecchie di quelle motrici venivano impiegate per lavorare sull’arenile, caricavano il materiale dal vicino fiume e lo scaricavano sulla spiaggia ottenendo così due risultati positivi e importanti per il bene del paese di Albisola, il primo era la pulizia e l’abbassamento del letto del fiume, di conseguenza la diminuzione del rischio di alluvioni e, come secondo scopo , l’allungamento della spiaggia verso il mare offrendo maggior spazio agli stabilimenti balneari, i quali in estate lavoravano per soddisfare il primo turismo di massa, quello degli occupati nelle industrie del nord. Nel periodo estivo questi raggiungevano le spiagge liguri portando ricchezza agli stanziali, allora già rivolti ad una prima organizzazione turistica curandola artigianalmente in tutti i suoi aspetti.
Bene, è lì che con emozione corre il mio ricordo, sentivo il rombo pieno e potente del motore che con la propria forza doveva vincere il peso e le asperità del terreno, il camion sbucava dal piccolo tunnel ricavato sotto il bastione della ferrovia, frontiera e baluardo tra il paese e la spiaggia sul mare, il muso del camion, la cabina e poi il cassone comparivano muovendosi piano ma ostentando la propria forza, in modo che il peso su quel terreno non arrecasse danno al mezzo, il camionista, attento ma sicuro del proprio mestiere, manovrando sul grande volante orientava il mezzo facendolo procedere lentamente sulla strada di terra soffice, questa sprofondava al passaggio del grande pneumatico schiacciata dal carico per poi rialzarsi ed apparire indenne da quella fatica subita. Questo era l’asse anteriore con il massiccio perno fuso e l’ammortizzatore, si notava il grasso che l’autista regolarmente pompava negli ingrassatori sempre pronti a riceverlo, poi, dopo uno sguardo attento alla cabina, vedevo l’asse cardanico, dal cambio raggiungeva il poderoso differenziale posto sull’asse motrice posteriore, girando veloce dava l’idea del movimento e della forza del motore che i gemellati trasferivano con potenza al terreno, mordendolo e lasciandovi l’impronta ben marcata. Di questi camion, aspettandoli instancabilmente sulla spiaggia, ne avrò visti passare mille ed ancora oggi, dopo più di cinquant’anni, mi emoziono ricordandone le lente manovre fatte accanto alla battigia del mare, il ricordo di quelle giornate così piene, perché per me interessanti, sono come dei quadri dipinti da un pittore impareggiabile.
Ritornando sulla camionale, l’Aurelia che qui in Liguria si stende parallela al litorale, gli autotreni dei camionisti savonesi, specialmente di notte, continuavano a farsi vedere e sentire perché ad Albisola uscivano obbligatoriamente da quel breve tratto di autostrada,  costruita alla fine degli anni cinquanta, che collegava Voltri ad Albisola appunto, il termine dell’autostrada distava un chilometro circa dall’Aurelia e questo li obbligava ad affrontare un breve rettilineo di collegamento tra l’uscita autostradale e l’immissione sull’Aurelia con una curva a novanta gradi che, con i mezzi e i carichi di allora, ci dava la soddisfazione di sentirli scalare praticamente tutte le marce per poi rimetterle una volta sulla via principale. Ogni passaggio era diverso o per l’autotreno o per la guida dell’autista, uno spettacolo quotidiano regalatoci dai camion diretti o provenienti dal porto o dagli stabilimenti locali come anche nei cantieri edili, passavano carichi di sabbia dei fiumi lombardi o di altre regioni attraversate da grandi corsi d’acqua, lo chiamavano il ritorno quel carico che portavano a casa ed era veramente importante finanziariamente per loro tornare carichi di quel materiale destinato all’edilizia ligure. Per il popolo italiano così legato all’agricoltura avere una casa dove poter vivere una vita intera ha sempre costituito una meta da raggiungere a costo di ogni sacrificio, la mentalità di vivere in un posto che rappresentasse la terra madre, l’accrescervi una famiglia, essere stanziali in ragione della terra, del paese e non dunque cercare il riconoscimento in seno ad un’organizzazione industriale aveva avviato il fiorire dell’edilizia residenziale, alla fine degli anni cinquanta anche in Liguria la costruzione di molti palazzi edificati sui terreni prima occupati per l’agricoltura rappresentava uno sforzo importante dell’economia della regione, questo per i camionisti condizionava anche la scelta dell’automezzo, per quel lavoro era utile avere i cassoni della motrice e del rimorchio ribaltabili onde sveltire le operazioni di scarico, solitamente ultima fatica del viaggio, mentre gli autisti residenti nelle altre regioni arrivavano carichi dei prodotti delle terre e delle industrie che caratterizzavano i luoghi della bella Italia che, imbarcati sulle navi attraccate alle banchine dei porti liguri, facevano conoscere l’Italia in tutto il mondo.
Questo andirivieni, questa spola infinita ci faceva oggettivamente quantificare come fosse grande la quantità di merce immessa sui mercati nascenti dovuta a soddisfare le necessità dell’uomo. I coils (rotoli di metallo), i pacchi di cellulosa, i rotoli di carta, i bidoni di lamiera per i prodotti liquidi, il legno tagliato in assi, la merce sfusa come il cemento o i minerali grezzi, il carbone, i pani di metallo e i profilati di ferro, tutte queste e altre centinaia di tipi diversi di merce venivano sistemate sui cassoni con un mestiere, una competenza, un’arte che certamente meritano un discorso che faremo a parte nel capitolo lavoro.
Il mondo dei camion rappresentava una parte sempre più grande del sistema trasporto, già millenni prima il trasporto era stato soddisfatto dalle navi dei primi popoli evoluti, come i Fenici, che sfruttando il mare riuscivano a commerciare, a produrre ricchezza, aggirando l’ostacolo dell’organizzazione e della costruzione di vie carrabili sulla terra ferma, solo alla fine dell’ottocento si stendeva capillare la rete ferroviaria, le locomotive a vapore trainavano i convogli  raggiun gendo la maggior parte dei comuni italiani percorrendo strade ferrate posate su opere pubbliche, viadotti e gallerie, ancora oggi ammirate, integrandosi con il sistema portuale esistente garantiva così il trasporto sia all’interno dell’Italia che con gli altri paesi del mondo.
Forse è stata anche la Liguria, con il suo mare, i suoi porti, la ferrovia che non lasciava mai la costa e le sue strade così panoramiche, in questo quadro dove proprio sembra non mancare niente, che mi ha fatto nascere la passione per i camion, per il trasporto fatto con questi mezzi che ci hanno fatto valicare i confini non solo territoriali delle amministrazioni locali, ma anche geografici, dandoci la possibilità di godere della vista del paesaggio italiano.
L’autotrasporto ha permesso un nuovo modo di rapportarsi tra le persone, modificando gli stili di vita e gli usi ottocenteschi ancora radicati nelle persone, permettendo scambi di merci più rapidi e l’evoluzione nel produrre dall’agricoltura all’industria. Ha contribuito perciò all’arricchimento della gente nelle idee come nei valori, ha appagato i progetti di chi voleva andare oltre il consueto. Questi mezzi hanno dotato gli uomini di velocità e forza, capacità che permettevano dei risultati stupefacenti, tanto da dare l’impressione di vivere
già nel futuro. I bisogni soddisfatti velocemente ne creavano altri che a loro volta potevano essere rapidamente esauditi, questo progresso arrivava grazie all’autotrasporto per soddisfare le grandi masse di consumatori, in altre parole il trasporto su strada sia delle persone che delle merci, il turismo ed il commercio, generava la spinta per il progresso di massa per il benessere e lo sviluppo della società.
In quegli anni la famiglia, nel senso più ampio del termine, rappresentava il nucleo della nazione, dello stato, perciò è anche importante capire quale era lo scopo per il quale quelle persone erano capaci di lavorare e di sacrificarsi così tanto. A quei tempi un individuo era legato affettivamente alla famiglia, simbolo della parte più piccolo rappresentante lo stato, da questa ne riceveva protezione ed aiuto, questa appunto, gli dava la sicurezza e la forza per guardare in avanti, gli dava le giuste motivazioni per sostenere l’impegno col quale raggiungere le importanti mete, continuando anche le attività artigianali o aziendali già avviate in famiglia. Si era più abituati a collaborare tra le persone, a dividere onori e oneri anziché l’individualismo dei nostri giorni, permesso e sostentato sia dalla tecnologia che dall’elettronica e dall’informatica in sostituzione del gruppo.
Tutto questo e non per delusioni o sofferenze giovanili scatena la passione, dà la spinta, desta l’interesse a svelare ciò che la curiosità ci porta a conoscere assecondando il nostro istintivo interesse personale.           
       
Le prime officine e i primi meccanici dell'esercito

Meccanico con i primi autieri

In questa foto, sulla sinistra,  si nota il FIAT 626 con la cabina in legno
Trasporto eccezionale di manufatto, eseguito con traino di cavalli, sullo sfondo si notano i primi rimorchi allestiti con cisterne.

Trasporto eccezionale con traino di cavalli

Primi trasporti di linea passeggeri con carrozza a cavallo

Incidente tra autocarro e carro trainato da cavallo, nei pressi di Milano

Antica stazione ferroviaria Letimbro di Savona
In tutte le stazioni ferroviarie, la zona dedicata alle merci era dotata di questa gru a manovella, azionata dalla sola forza dell'uomo, qui vediamo lo scarico dal carro appena fatto avanzare dei manufatti caricati sul vagone a pianale.
Nel fine settimana, alla domenica, questi mezzi avevano sempre bisogno di molta manutenzione come ingrassaggio, controllo dei livelli vari liquidi come olio motore, raffreddamento, idroguida, le luci e così via, qui vediamo anche il lavaggio di un FIAT 64O N.
Il lavoro comprendeva anche i cantieri per le infrastrutture, vediamo un escavatore a cavi intento a caricare un OM Supertaurus.
Nei cantieri, ma anche nella linea, il cassone ribaltabile velocizzava le operazioni di scarico dei materiali sfusi,  penalizzando la portata in quanto appesantiva la tara, qui un LANCIA ESATAU 112.
Dai particolari della cabina riconosciamo l'ALFA ROMEO 900, messo alla prova nel cantiere del porto in costruzione.



Queste fotografie ritraggono il traffico nelle vie e nei piazzali limitrofi al porto di Genova tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60, si vedono i rari FIAT 682 N2 e gli OM SUPERORIONE mancano ancora gli ALFA 1000 e i LANCIA ESAGAMMA, modelli che negli anni '60 cercarono di arginare lo strapotere dei FIAT.

Le due fotografie ci mostrano il porto di Savona negli anni '30, la ferrovia era il mezzo con il quale le merci venivano spedite dopo una lunga attesa sulle navi attraccate in banchina, infatti il commercio del carico dei vapori che lo trasportavano non aveva il supporto dei mezzi di comunicazione che conosciamo oggi, la velocità' nel trovare un eventuale acquirente era dimensionata dal servizio postale, le lettere erano l'unico sistema di comunicazione di quei tempi.


Alla fine degli anni '30 le infrastrutture dedicate all'autotrasporto iniziavano a dare i loro frutti, qui in queste due fotografie si vede la "CAMIONALE", tra Genova e Serravalle Scrivia, in Piemonte, che permetteva di valicare l'Appennino alle spalle di Genova senza passare in mezzo a tutti i borghi contadini delle vallate.

                                        



Uno dei tanti alluvioni che i centri rivieraschi devono subire in seguito ad un'urbanizzazione selvaggia che, con  la cementificazione dei terreni prima dedicati all'agricoltura, non ha tenuto conto di aver bisogno anche di reti idriche adeguate e studiate per lo smaltimento delle acque piovane.

La rete stradale esistente cominciava ad essere insufficiente per il traffico degli anni '60, qui tra Celle Ligure ed Albisola, nei soli tre chilometri che dividevano i due centri, si trovavano ben tre passaggi a livello, il tempo cronologico iniziava ad aver un valore che non poteva essere sprecato nelle lunghe code di attesa.

In Italia gli autocarri, come le autovetture, venivano progettati avendo cura anche delle forme, della carrozzeria che doveva rivestire la meccanica, macchine dotate di motori e altri meccanismi di avanguardia le quali dovevano apparire belle allo sguardo, le due autovetture LANCIA e ALFA ROMEO che vediamo sopra danno un esempio delle linee disegnate dai carrozzieri italiani.

FIAT 640 N con rimorchio Breda.

Sul retro dell'autotreno si può notare com'era disposta la segnalazione luminosa prima del 1957, anno in cui ci fu il riordinamento del codice della strada, luci ai quattro angoli della carrozzeria e frecce con luce dei freni raggruppate sulla sinistra.

FIAT 682 N2 1a Sr., di questo autocarro si notato parecchi particolari, come le sponde di lamiera a pannelli, irrobustite all'interno con assi di legno, e le portiere con l'apertura verso l'anteriore del mezzo.




Le quattro fotografie sopra mostrano i piazzali del porto di Genova a fine anni '50-inizio '60, molte le marche italiane che si contendevano l'attenzione degli autotrasportatori con modelli che di anno in anno cambiavano sia nella meccanica come nella carrozzeria.

FIAT 680 N in manovra, questo importante automezzo stava lasciando il posto al più moderno 682  N 2.

OM Supertaurus con rimorchi a 2 assi.

A fine anni '30, dopo due anni di intenso lavoro, venne ultimata la "CAMIONALE", congiungeva Genova con Serravalle in Piemonte, permetteva di oltrepassare più velocemente l'Appennino avendo tutte le caratteristiche di un'autostrada dei nostri giorni.
FIAT 122, la sigla si riferiva ai millimetri di alesaggio dei sei cilindri del nuovo motore montato  sull'autocarro che avrebbe sostituito il mitico FIAT 680, qui lo vediamo con al traino un rimorchio VIBERTI.
FIAT  BLR, camion della fine anni '20 ma usato anche dopo la II guerra mondiale, lo scopo di questi autocarri era soddisfare il trasporto per tratte locali dunque brevi, come accennato nel testo la meccanica era primordiale rispetto ai progetti realizzati nel decennio seguente.

 
Qui siamo tra gli anni '40 e i '50 il DODGE americano nasconde purtroppo il meraviglioso LANCIA ESATAU fabbricato nelle officine LANCIA di BOLZANO dal 1948.
OM 400/8, cioè 4 marce che si raddoppiavano per mezzo del riduttore, questo attacco della metà degli anni '50  affidabile e   gestibile dai padroncini, era l'autocarro giusto per quegli anni, dalla merce disposta manualmente nelle operazioni di carico dobbiamo immaginare il tipo di lavoro adottato nell'ambito del trasporto.


Le tre fotografie ci danno una bella sequenza del carico, della preparazione al viaggio e della partenza, di questo FIAT 682 N2.


LANCIA ESATAU e FIAT 682 N2, quando gli automezzi non erano più affidabili per l'uso sulle grandi distanze venivano impiegati o nei cantieri cittadini oppure, come in questo caso, nei porti, dove svolgevano lavori di trasbordo dalle navi ai siti industriali o per il carico dei vagoni ferroviari.

Le due fotografie mostrano il LANCIA ESATAU B, detto "televisore" per la forma che aveva la cabina,  nei primi anni '60 l'industria cominciava a produrre elettrodomestici e televisori per le famiglie italiane e questo autocarro ricordava, con il suo design appunto, l'aspetto del televisore.

LANCIA ESADELTA C, le varie firme italiane produttrici di autoveicoli cercavano , con i loro diversi modelli, di soddisfare le esigenze per ogni tipo di trasporto, questa motrice era studiata per l'uso medio, senza il rimorchio, riduceva i costi l'impiego specifico.
Anche negli anni '50 c'erano i selfie, questo ci nasconde in parte il nuovo OM SUPERORIONE prodotto dal 1957, era un autotreno con motore a 8 cilindri, aveva bisogno di autisti che ne conoscessero peculiarità' ma anche limiti, grande potenza ma aveva ancora bisogno di sviluppo tecnico per dargli affidabilità', i mezzi da trasporto percorrendo lunghe distanze,carichi alle volte ben più del consentito dalla legge, dovevano garantire il funzionamento sempre, pena enormi rischi sulle strade pubbliche.
FIAT 68O N carrozzato da BARTOLETTI, la FIAT con questo attacco aveva compreso come doveva essere un automezzo da trasporto per le lunghe distanze, nella produzione non avrebbe più lasciato questo stile.
La FIAT, cercando in breve tempo per il nascente autotrasporto nuovi modelli che soddisfacessero le esigenze,  dopo il 680 N, progetto il 122 e questo sopra fotografato 125 N, le sigle si riferivano all'alesaggio dei cilindri, diciamo che il 125 era una forma embrionale del futuro prossimo 682 N2.

Riconosciamo dalla scritta che ornava i lati della cabina ed anche dalla forma dei parafanghi anteriori il FIAT 632 N,  costruito e presentato alla fiera di Milano nel 1932, confrontandolo ai BL o BLR degli anni '20 si può comprendere l'enorme differenza che divideva questi due autocarri, un prodotto italiano che sapeva distinguersi per la modernità del progetto.
Raffigurato sopra ritorniamo agli inizi degli anni '50 con questo FIAT 122, le portiere con i vetri scorrevoli, le aperture anteriori delle stesse e le forme delle maniglie ci datano il progetto ancora negli anni precedenti. 

In queste due fotografie ci sono mezzi della metà degli anni '50, la FIAT 1100, il LEONCINO della OM e un 682 N carrozzato dalla BARTOLETTI di Forli.
L'ALFA ROMEO di Milano produceva già dagli anni '40 questo modello nominato ALFETTA, era un camion medio che per la sua affidabilità e, ricordiamolo sempre, la capacità degli autisti, veniva usato per la linea su grandi distanze.
FIAT 64O N, autotreno medio come l'ALFETTA veniva usato come attacco, cioè con rimorchio,  per le lunghe distanze,  la OM proponeva su questa fascia di P.T.T. il 400/8, lo vedremo in seguito fotografato restaurato con rimorchio medio VIBERTI.

FIAT 634 2a Serie, lo si riconosce dalla calandra, presentato alla fiera di Milano nel 1936, si faceva ammirare sulle strade italiane per forme e potenza, nonostante ci fossero ancora pochissimi tratti di strade dedicate solamente agli autoveicoli, come la Genova-Serravalle, con questo grande autotreno riuscivano a percorrere, specialmente di notte, le strade di tutta la penisola.

Le due fotografie sopra ci mostrano il FIAT 666 N7, riconoscibile dai due scalini per l'accesso in cabina.


LANCIA 3 RO, negli anni del dopoguerra si lavorava anche per le grandi distanze con mezzi poco curati, questo trainava anche un rimorchio a due assi, si poneva attenzione nella meccanica per garantirsi un minimo di affidabilità.

LANCIA ESATAU 112
Fotografia di LANCIA ESATAU 112 scattata negli anni '50, a confronto della precedente come restauro,  nella parte su periore della cabina si vede il segnale con triangolo nero posto ad avvisare che la motrice trainava il rimorchio, nella fotografia originale si comprende che la motrice svolgeva un lavoro senza il traino.
Parata di mezzi restaurati rappresentanti gli anni '50, scorgiamo da sin.verso destra LANCIA ESATAU 112,  corriera trasformata negozio tessuti su base FIAT 626, OM TAURUS 34O, ALFA ROMEO 95O e FIAT 682 N2.
Camion medi della AUTOBIANCHI.

Autovetture trasformate per l'uso commerciale, era sufficiente la maestria di un carrozziere per proporre un veicolo commerciale ed ottenere l'autorizzazione alla circolazione sulle strade pubbliche, qui sopra una FIAT BALILLA e una LANCIA.

FIAT 615 N, nelle due immagini notiamo le differenze di dimensione e di costruzione che le varie case hanno saputo proporre negli anni successivi all'avvio del trasporto su strada.

LANCIA ESADELTA C, sopra LANCIA ESAGAMMA E.
OM LEONCINO, questo è un magnifico restauro del mezzo anni '50. 
OM TIGROTTO.
LANCIA ESATAU B, questo con III asse FRESIA.
OM 150.
In attesa del carico in porto a Savona, sotto la fortezza del PRIAMAR, OM 400/8  e  a destra LANCIA ESATAU 112.

FIAT 682 N2 I Serie, il filtro dell'aria era posizionato in cabina e non, come nel II Serie, nel vano motore vicino al radiatore, inoltre si vede nel rimorchio il terzo asse centrale del rimorchio "Bartoletti", detto a volta corretta, in quanto l'asse anteriore incernierato al timone e l'asse posteriore erano dotati di ralle, collegate tra di loro con un cavo incrociato a 8, in curva perciò sterzavano disegnando un corona circolare, molto difficile risultava la manovra in retromarcia. 

FIAT 682 N2 II Serie


FIAT 68O N


Qui vediamo lo stesso autotreno nuovo in basso e sopra, dopo 60 anni, restaurato.

FIAT 682 N2

Nelle due fotografie vediamo lo stesso LANCIA ESATAU 112 prima impegnato nel carico di sabbia vicino al ponte della Becca a Pavia e sotto carico di riso nel vercellese, queste fotografie ci dimostrano com'era gestita nel carico la merce trasportata, tutta movimentata pezzo per pezzo e ben sistemata sui cassoni.

Pronti per trasferire il loro carico sulle navi nel porto di Savona da sinistra un FIAT 666 N7, LANCIA ESATAU e FIAT 68O N
LANCIA ESAGAMMA E

OM TITANO 260 cv., sovralimentato e con doppio asse di trazione.

Anni '30, FIAT 632 N II Serie

Affiancati in mostra vediamo a sinistra il LANCIA ESADELTA C e a destra l'ESAGAMMA E

LANCIA ESATAU B, detto televisore

LANCIA ESADELTA, questo con III asse Perlini
Esposizione mezzi in Veneto in occasione del Giro d'Italia del 2018.