giovedì 17 novembre 2016

L'AUSPICIO

Questa non vuole essere una conclusione, un finale volto a dimostrare con risposte certe, chiare, tesi o pensieri agli altri appassionati, al contrario vuole essere l’auspicio dal quale nasca un dialogo, dove ognuno porti ciò che ha di suo, con qualsiasi idea o mezzo.
Vuole essere l’auspicio di un appassionato che sente di dover ricevere gratificazione dall’impegno nel sostenere ciò a cui crede, senza chiusure, ma con la possibilità di crescere offerta dal dialogo con le altre persone, come è possibilità di crescita il sistema dei trasporti che unisce la gente.
Sono molte le riflessioni che potremmo fare ripensando agli argomenti citati nelle pagine precedenti, ma limitandosi a due di questi potremmo citare per primo il periodo storico nel quale è nato e si è affermato l’automezzo pesante, il camion. Questo nella prima metà del novecento dove le due guerre mondiali rappresentano il male, la violenza degli uomini e, di contro, nello stesso periodo, le grandi capacità tecniche e scientifiche degli stessi, che procedevano parallelamente, come a voler dimostrare le paradossali contrarietà dell’essere umano.
Infatti sembra che tanto progresso, rappresentato anche da questi autoveicoli, sia figlio dei periodi bellici perché, logicamente, un paese in conflitto vede bloccarsi la vita civile impegnandosi totalmente con persone e industrie in un unico fine, e impiega, come nel caso dei camion, tutta la sue produzione per l’uso agli eserciti. Perciò questo periodo, con la sua singolarità, ha visto da una parte i popoli affrontarsi in conflitti mai così estesi e cruenti e, dall’altra parte lo svilupparsi di scienza e tecnologia poi portatrici di benessere rivolto alle grandi masse di popolazione, le quali cambiarono il loro modo di vivere e di pensare trovando un nuova vita migliore.
Con questo mi viene spontaneo chiedermi quanto potrebbe essere stata più produttiva e progressista quella prima metà del novecento se non avesse accolto i due conflitti mondiali.
Il secondo argomento al quale vogliamo riconoscere importanza è, riguardo al settore dei trasporti in senso globale, l’ultimo nato tra i mezzi o le macchine utilizzate per trasportare merci e persone, quello considerato da tutti i popoli la novità che avrebbe soppiantato qualsiasi sistema di trasporto e al quale le nazioni si sono rivolte per soddisfare gli spostamenti per le loro economie, alla fine debba fare un passo indietro, come tutte quelle novità che dapprima sembrano poter risolvere qualsiasi problema ma poi doversi ridimensionare a rispetto di giusti equilibri. Anche il trasporto su gomma, se vorrà contribuire razionalmente al bene dell’umanità, sarà necessario che si integri sia con le ferrovie che con le navi e gli aerei, da qui il nuovo della logistica. Le moderne navi in grado di saper accogliere i mezzi numerosi, solcando velocemente le autostrade sull’acqua facendo diminuire costi e inquinamento e aumentando la sicurezza sulle strade, portando un positivo contributo alla qualità della vita, come anche del lavoro dei camionisti manlevandoli dai pesanti turni di guida e facendoli contribuire con un uso più moderno dei loro automezzi. A questo possiamo aggiungere, se si integreranno modernamente i vari sistemi di trasporto, che ogni novità riguardante un mezzo trascinerà anche gli altri a seguirne la novità, dovendosi migliorare a loro volta in quanto, come già accade in altri paesi, non ci potrà più essere un anello debole in questa catena pena il fallimento di tutto il sistema di trasporto.
In questo lavoro, come riferimento principale, abbiamo fatto uso della parola “passione”, questo termine inteso non come classicamente accostato al significato di sofferenza o del dolore, ma bensì come attrazione della persona a quello che le interessa maggiormente per soddisfare anche le proprie ambizioni di lavoro e di organizzazione della vita, sfruttando le proprie attitudini per far rendere maggiormente i propri sforzi e le proprie fatiche. Penso che sia vivendo in un ambiente idoneo alla propria indole che si ottiene la gratificazione di noi stessi, eliminando quel senso di soggezione che, per esempio nell’ambiente di lavoro fa sentire insicuro, estraneo e dunque passivo, chi deve compiere qualsiasi attività che abbia bisogno appunto anche di iniziativa personale. Restaurare e continuare a far vivere gli automezzi pesanti, cioè autocarri e corriere, macchine ingombranti che, a differenza di motociclette e autovetture, per appunto il loro utilizzo a fine carriera sono sfruttati molto e perciò diventano carcasse sono soggetti a essere distrutti dalla fiamma ossidrica, al taglio delle lamiere, quindi senza alcuna riconoscenza alla distruzione. Un appassionato come me non accetterà mai per loro un destino così ingrato, è troppo intenso il legame che unisce questi autocarri alle persone che li usavano per lavorare, insieme hanno prodotto uno sforzo comune e, dunque, sarebbe come cancellare dalla memoria la fantasia e il lavoro che le persone del tempo hanno profuso per progettare e costruire quei mezzi con i quali hanno creduto e vissuto lavorando per assicurare soprattutto agli altri membri delle società un benessere e una vita migliori.


                    






















                        FIAT 690 N3





                                   FIAT 682 N2 2a Sr. anno costruzione 1959 


IL DIALOGO

                            
                            FIAT 682 N2 II Sr. 1959 in entrata porto di Savona

Dopo le prime iniziative intraprese per cercare di entrare nel mondo degli autotrasporti, mi resi conto di non riuscire a stabilire nessun tipo di contatto con chi già ne faceva parte. Parecchie volte dopo che mi ero attrezzato con la patente D – E corredata dal C A P, per la guida degli autobus turistici, dunque non di linea e, dal  A D R che teoricamente abilita alla guida di tutti i mezzi idonei al trasporto di merci, anche liquide, comprese quelle classificate come pericolose, avevo chiesto a camionisti conosciuti occasionalmente se potevo viaggiare con loro per poter capire di cosa in realtà fosse il loro lavoro e di conseguenza, praticandolo, capire in che modo potevo rapportarmi con esso.
Così anche i primi approcci con i nuovi amici del C.I.C.S. finivano con ben poche soddisfazioni e qualche delusione. Questo perché non riuscivo a sostenere un dialogo che fosse reciprocamente produttivo, in quanto da parte mia c’era solo la passione e la voglia di carpire dagli interlocutori le loro esperienze e il loro sapere, di contro, chi mi era di fronte capiva che io non gli potevo dare niente e magari non coglieva nemmeno la volontà che avevo per arrivare a fare seriamente qualcosa di mio in un futuro prossimo. Tutto questo, quando ritornavo a casa, mi faceva riflettere su quello che avevo ascoltato e con chi avevo parlato. In altre parole il dialogo era l’unica cosa che mi rimaneva, che mi legava agli altri, ed in fin dei conti però non era poco.
Su questi primi colloqui iniziai a fondare tutti i miei ragionamenti, tutti i miei progetti per cercare di ottenere sempre qualcosa di più, che mi potesse far capire quel mondo. Perciò al dialogo voglio riconoscere l’importanza con la quale ho potuto conoscere e imparare dagli altri ciò che da solo era impossibile che giungessi a sapere per iniziare a ritagliarmi un posto in mezzo a quella gente che iniziavo a conoscere, a frequentare. Il dialogo e gli interlocutori, ripensare a tutto quello che mi raccontavano e chi erano quelle persone che mi parlavano, da questo ho iniziato a farmi un’idea del popolo di quel mondo:
1)  Il dialogo con i forti -  con coloro che credono in ciò che fanno, i meccanici e i camionisti che hanno la saggezza di sapersi gestire e amministrare, sanno fare responsabilmente il proprio lavoro con la lucidità nel vedere chiaramente le priorità da affrontare, dettata dalla conoscenza del proprio mestiere, con l’esperienza acquisita nel tempo come anche le norme acquisite sui testi con le quali si possono fare delle scelte vincenti riguardo al futuro, vivendo con serenità il trascorrere del tempo sul lavoro nonostante le difficoltà e gli imprevisti, sempre presenti, che ostacolano il normale procedere dell’impresa, le amarezze per obiettivi non sempre raggiunti nonostante l’impegno e la professionalità profusi.
Lavorano con la soddisfazione di avere possesso di un mezzo che gli da la possibilità di realizzarsi, svolgendo una attività che li presenta agli altri per quello che fanno, che gli da un ruolo nella società, questo è anche testimoniato dalle associazioni che raggruppano gli autotrasportatori e dalle riviste che documentano oggettivamente il servizio dell’autotrasporto per la società.
Lavorano senza vivere di conformismi e di illusioni, ipocrisie che porterebbero solo ad effimeri miraggi, dove ti ritrovi a capire di non aver compiuto nulla di concreto, di valido e coerente con la vera cultura del lavoro e, dunque, vivendo attivamente con passione la loro professione.
Avendo l’entusiasmo e l’ambizione di raggiungere sempre nuove mete, naturalmente col proprio camion. Sapendo che la vita non è il solito film proiettato sullo schermo o il racconto fatto dai media, ma è la storia che siamo in grado di realizzare noi con i nostri mezzi, col nostro raziocinio e la nostra forza.

2)  Il dialogo con i deboli  -  con coloro che a causa della sfortuna, o per rispetto dell’affetto ricevuto dalla famiglia che li invitava a  non intraprendere il mestiere del camionista, non hanno realizzato il proprio sogno, in questo ne siamo forse la maggioranza, come paragonarsi all’acqua che spinta dalle leggi naturali, si incanala dentro alle fessure della terra, occupando con casualità o forse per destino gli spazi trovati liberi, come percorrere uno sconosciuto labirinto sino a sgorgare passivamente in un luogo non scelto e non desiderato.
Così la nostra vita ci ha portato ad occupare passivamente un ruolo nel mondo del lavoro non idoneo ad appagare le nostre velleità, a sfruttare le nostre attitudini, facendoci lavorare svolgendo compiti senza particolare interesse personale, magari solamente per la necessità finanziaria che soddisfa i bisogni essenziali, quindi subendo l’ambiente di lavoro, senza credere in ciò che si fa, calandosi in una routine quotidiana e cercando fuori dall’ambiente del lavoro nel tempo libero, quasi per gioco, interessi e attività che possano sopperire a questa mancanza di soddisfazione, purtroppo il mondo del lavoro è ancora gestito e regolato da sistemi che non permettono alle persone di muoversi dentro di esso in modo da arrivare ad un posto di lavoro confacente i loro interessi, permettendo a chiunque di esprimersi con le proprie capacità e attitudini, rendendole serene e appagate.
3)Il dialogo con gli appassionati come me, persone spinte dalla volontà di entrare nel mondo degli autotrasporti, ognuna percorrendo strade diverse perché condizionati dalla propria personalità e dalle loro esperienze, cercano di conoscere aspetti della professione oppure degli automezzi come anche delle merci che vengono trasportate, ma per arrivare a questo occorrono le informazioni dagli addetti, dai professionisti del settore ed allora far nascere il dialogo diventa molto difficile. Un’attività affrontata per professione è imparagonabile alla stessa fatta per hobby, il dialogo con i professionisti diventa un tentativo improbo, tanto da dividere gli appassionati da loro e dunque di fargli vivere la passione solamente tra loro. Chi lavora nel settore non avrebbe saputo cogliere il significato delle nostre domande, dei nostri progetti che avremmo voluto realizzare per vivere questa passione, tentativi inutili di dialogo, porte chiuse alle prime battute, incomprensioni quando, forse ingenuamente, si accennava all’argomento per dare inizio ad un discorso per noi costruttivo e, peggio ancora, quando si cercava di inserirsi nell’ambiente anche solamente chiedendo di salire in cabina da passeggero per partecipare a viaggi di lavoro. I vari tentativi fatti per arrivare a vivere sul camion erano molto difficili, sembrava di dileggiarli, i camionisti, sminuirne il loro lavoro, probabilmente ogni volta che si cercava di iniziare una qualsiasi collaborazione rivedevano davanti ai loro occhi tutti quegli sforzi e quelle fatiche fatte in tanti anni di lavoro e questi li rendevano scettici di fronte ad una richiesta buttata lì da una persona che gli appariva ignorante, ignara su quello che andava a chiedere loro. Con questo non è che il dialogo si facesse difficile perché lo era sempre stato. Mi ricordo di un giorno a scuola, avevamo undici o dodici anni, un compagno originario del Veneto ad una mia domanda su cosa ricordasse riguardo ai camion in quella regione mi rispose raccontandomi delle sue passeggiate in bicicletta che avevano per meta una fabbrica, forse la Perlini, la quale produceva un modello di camion da cantiere chiamato “Dumper”(scaricatore, facchino),  discorso subito terminato quando ci accorgemmo degli altri compagni stupiti dell’argomento trattato, dagli sguardi capimmo che era meglio parlare d’altro, forse di cose più alla moda, più costruttive di quell’immagine conformistica che faceva tanto tendenza, specialmente fra i tenagers, vedi argomenti artistici commerciali e immaginifici di un apparire moderno e che magari seguisse i dettami della nascente pubblicità che appariva sempre più insistentemente sui media di allora. Discorso chiuso quindi e, in famiglia poi, a quelle macchine manco bisognava pensarci, troppo sconosciute e pericolose, i disagi, il distacco con l’idea di una vita passata lontano dalla famiglia, era una scelta completamente da scartare. Ancora oggi un camionista, figlio di un contadino, dopo qualche tempo di gavetta si presentò in paese, davanti al padre, con un meraviglioso nuovo FIAT 691 a otto assi, ribaltabile sia motrice che rimorchio, un mezzo a metà degli anni settanta fantastico, alla vista di tutto questo il padre snobbandolo appellò il figlio ai suoi amici compaesani col nome di “industriale”, tanto si distaccava l’attività del giovane rispetto alla tradizionale del genitore.
Con questo potrei dire di avere illustrato una situazione molto scoraggiante per arrivare a concretizzare il sogno, ma pur con fatica questa è una sfida che mi sono proposto di portare avanti, anche con questo lavoro, quello che scrivo mi da modo di buttare un sasso nello stagno delle persone animate da vera passione, per noi che ci consideriamo a casa quando siamo dentro la cabina di un camion. Considero molto positivamente usare qualsiasi mezzo che permetta alle persone di dialogare, come in questo caso sarebbe una vittoria poter fare esprimere qualcuno riguardo all’argomento della nostra passione, cioè i camion e l’autotrasporto, ci saranno sicuramente appassionati che senza paura avranno qualcosa da dirci nel merito, con esperienze e ricordi, testimonianze che unite insieme fanno la storia del trasporto con i camion in Italia. E’ importante poter dialogare, trovare delle persone come gli amici del C.I.C.S., con le quali finalmente ci si può esprimere liberamente, senza subire giudizi, avendo risposte per assecondare la conoscenza sull’argomento da persone che con le loro esperienze ti possono spiegare avendo vissuto la realtà dell’ambiente come anche dei suoi problemi. Loro ti possono raccontare delle soddisfazioni oppure anche delle delusioni di chi guida questi mezzi, o altro ancora, come le norme raccolte nel codice della strada, che condizionano i comportamenti sulle strade degli appartenenti a questo settore sino a creare usi e scelte individuali, dettate dalle interpretazioni personali che ognuno di noi fa nel consultare una norma tanto da fare scaturire le malizie del mestiere. Il dialogo poi, se oltre ai soci del C.I.C.S. che hanno come obbiettivo principale il restauro dei mezzi d’epoca, si estende a tutte quelle persone capaci, con la loro fantasia, di diramare l’argomento su altre iniziative che lo possono rappresentare o raccontare, ugualmente importanti per sostenere la passione. Pensiamo ad esempio a chi costruisce gli automodelli in scala, precisi sin nei minimi particolari, sono pochi meravigliosi artigiani che profondono la loro passione e le loro capacità nel realizzarli uguali ai veri tanto da farci stupire nel vederli alle mostre specializzate, oppure i fotografi, presenti da sempre perché la loro epoca nacque prima degli autotrasporti, a tramandarci le immagini scattate nell’immortalare un momento strappato in un attimo particolare di qualche avvenimento oppure in pose statiche di presentazioni od occasioni celebrative. Le compagnie cinematografiche ci hanno fatto assistere a pellicole come “Fari nella nebbia” o “Il bestione” scritti da appassioni per il grande pubblico delle platee dei cinema, interpretati dai più famosi nomi dello spettacolo sicuri che questi avrebbero fatto un enorme successo perché la gente era di certo interessata, ma possiamo anche citare chi si occupa di organizzare raduni o passerelle dei mezzi storici, infaticabili amici che nell’ombra, senza mai apparire appunto, prestano la loro fatica per far conoscere autobus e autocarri ai cittadini dei tanti Comuni che ospitano le manifestazioni, chi organizza le mostre dove possono avvenire gli scambi anche delle parti di ricambio utili per i restauri, importanti per far ritornare a viaggiare i “nonni” dopo le cure che, quei pochi meccanici e carrozzieri ancora capaci ed attivi oggi come ai tempi della loro gioventù, riescono a dargli, magari rammentando tempi durissimi perché chi insegnava loro non badava certo a gentilezze o garbati modi nel rivolgerglisi in quanto un mestiere andava acquisito provando passione tenacia e interesse. Credo perciò che per questo sia importante il dialogo, per tener viva la passione, perché è con la stima e il legame tra la gente che si riesce a sostenere la memoria e la continuità per ciò che noi ora consideriamo un patrimonio, un’epoca da inserire nella storia dell’umanità.



IL RESTAURO

A cento anni dalla costruzione dei primi autocarri moderni sentiamo già la necessità di non perderli, e con loro di non perdere il passato che rappresentano, fatto di uomini capaci di progettarli e costruirli, uomini che avevano anche il coraggio e le forze di spingere la società ad organizzarsi per seguirli a creare, con tutte le infrastrutture indispensabili, la rete per l’autotrasporto. Le strade, i viadotti e le gallerie sono sorte grazie a eserciti di manovali che partecipavano entusiasti, consci di fare un qualcosa di grande che, una volta terminato, avrebbe permesso anche a loro di viverlo, dal quale anche loro avrebbero avuto benefici, una vita moderna e migliore. Cento anni per una persona giovane sono un’eternità, invece per me ed i miei coscritti sono sempre troppo pochi, per chi sa voltarsi indietro senza paura per ricordare quello che la vita gli ha saputo far vedere e vivere sono un lampo. E’ difficile ricostruire il tempo e la storia, la storia dell’umanità con i suoi trecentomila anni di vita dell’uomo sulla terra e la nostra storia, quella  relativa alla età media della gente che vive il proprio tempo in ogni epoca, dimenticandosi ogni tanto di alzare la testa per capire se ognuno, o l’intera società, in quel momento, stanno riconoscendo dei valori per assoluti quando invece sono relativi al loro tempo, perciò dettati da chi ha il potere di condizionare la massa con conformismi e condizionamenti che, già limitata dalla lingua e dai confini politici, può impoverirsi sprecando intelligenza e ricchezze da impiegare in ben altri progetti più razionali. Da questo si può iniziare il discorso sul restauro dei mezzi pesanti, tanto per dare una risposta, da un punto ben alto sull’orizzonte, a chi ci chiede, chino a guardarsi la punta dei piedi, se è giusto occupare tempo, risorse e sforzi di ogni tipo, tralasciando magari doveri più essenziali, per raggiungere quelle mete ottenute col recupero di un camion o di una corriera costruita quasi cento anni fa. Valorizzare una meta è sempre una stima soggettiva, prima di giudicare è importante capire per valutare, dal punto di vista il più alto possibile, se non stiamo guardando anche noi la punta dei piedi. Non credo nell’esistenza di un appassionato che esterni completamente o sappia spiegare ad altre persone le vere motivazioni che lo spingono a realizzare un’impresa così grande come quella di restaurare un mezzo pesante. Potremmo iniziare col dividere in due momenti l’analisi che spiega cosa ricerchiamo dal restauro, una prima parte riguarda la scoperta e la conoscenza  dell’automezzo, la seconda quella che sarà la pratica della guida, cioè l’utilizzo a lavoro finito del camion. Praticamente una prima parte ci obbliga a capire quel tempo passato, mettendoci nei panni dei meccanici e degli autisti di quegli anni, quando il mezzo è stato costruito e guidato, l’altra è un copia e incolla di una macchina obsoleta che gettata nel traffico dei giorni nostri, dove il rispetto e la gratitudine per il vecchio eroe non vengono assolutamente esercitati, ci permette di valutare le varie differenze potendola confrontare con le attuali moderne. In queste pagine vedremo delle fotografie che ci faranno apparire le varie fasi del recupero di un FIAT 682 N2 seconda serie, prodotto a Torino negli stabilimenti della Mirafiori, negli anni dal 1957 al 1959 e del suo rimorchio a tre assi, prodotto dalle Officine Adige di Verona qualche anno più tardi, precisamente nel 1964. Non ci soffermeremo sulle incredibili questioni burocratiche ne sugli ostacoli che la nostra società, con le diverse normative emanate o dalle provincie oppure dai vari registri pubblici o ancora da chi deve fare rispettare queste, mette davanti a chi valorizza a proprio carico gli automezzi italiani, benché queste già dal primo giorno dall’acquisto interessino e gravino sulle spalle dell’appassionato, difatti già il primo spostamento dell’automezzo crea difficoltà per esempio se intervengono controlli effettuati da parte delle forze di Polizia oppure Enti Statali preposti alla registrazione nei pubblici registri o ancora Enti con compiti per la certificazione di collaudo o revisione, solamente per citarne qualcuno. Le prime operazioni del salvataggio del camion riguardano lo smontaggio di tutto il mezzo usando l’accortezza di non guastare nessuna parte, anche piccola, in quanto difficilmente reperibile come pezzo di ricambio originale o introvabile come pezzo usato facente parte magari di un camion simile. A questo proposito mi ricordo della risposta che mi diede uno dei maggiori commercianti di mezzi usati in Romagna, miniere un tempo di pezzi di ricambio, quando gli chiesi se avesse da vendermi delle parti di meccanica per il mio 682, questi perentorio mi disse: ”Noi del 682 non ci ricordiamo neanche che faccia avesse”. Per mia esperienza Vi posso dire che un camion usato per decine di anni sulla linea e poi nei cantieri, sino allo stremo per ammortizzarne i costi, subiva trasformazioni di mano in mano che i pezzi si logoravano, perché già negli anni sessanta del secolo scorso, erano soventi le innovazioni anche importanti dei vari pezzi che lo costituivano. Perciò un ponte posteriore più robusto e veloce veniva montato al posto di quello originario, così il cambio, il radiatore magari in parte di plastica e anche di un’altra fabbrica poteva essere preferito a quello esistente in quanto meno costoso e più affidabile, evitando l’assistenza di artigiani meccanici competenti che allora si trovavano abbastanza numerosi e specializzati, per esempio ricordiamo oltre agli addetti al motore quelli che si occupavano dei freni oppure delle sospensioni a balestra, come anche gli “elettrauto”, maghi di quelle apparecchiature così misteriose ma necessarie specialmente nelle gelide mattine invernali per l’avviamento del motore o l’accensione dei fari come anche le dinamo che provvedevano a ricaricare le batterie, così citiamo gli altri meccanici specializzati nelle pompe di iniezione della miscela di carburante per finire per ultimi ma non ultimi, i carrozzieri, veri depositari dell’artigianato italiano, persone tutte capaci di rifare un pezzo identico all’originale. Da questa situazione possiamo dare ancora maggiore importanza a quello che un museo relativo all’argomento degli autotrasporti potrebbe dare se inclusivo, oltre che all’esposizione dei mezzi, della spiegazione storica e delle capacità artigianali degli uomini, magari riproducendo e facendo lavorare una parte di esso con compiti di officina e scuola di lavoro specifico.  Dunque per il recupero delle parti mancanti o da sostituire rimane la fortuna, il caso se non vogliamo scomodare il destino, per chi ci crede, da parte mia ho iniziato a macinare chilometri e a conoscere persone. Statisticamente è la quantità di queste, con la loro disponibilità a capire l’importanza della ricerca, che mi hanno permesso di avvicinarmi al completamento del lavoro, che personalmente valuto intorno al 50 o 60 per cento di quello che all’inizio mi prefiggevo,  certamente questa percentuale di lavoro non è perfetta come potessi immaginarmi all’inizio dell’opera, ma anche grazie alle persone che allora guidavano per lavoro queste macchine e che sono riuscito ad interpellare, credo, direi giustamente, si possa accettare il risultato finale. Ricordo quando cercavo quello che mi poteva servire, nel poco tempo libero a disposizione, facendo lunghi tragitti interni di zone a me sconosciute, fermandomi appena vedevo qualcosa che mi desse l’idea di essere vicino al tesoro, chiedevo a quante più persone possibile se avevano loro stessi dei pezzi, oppure qualche informazione utile di qualcuno che mi potesse aiutare. Un giorno, perlustrando una nuova zona sentii una musica ,diciamo orecchiabile, un suono che mi parse subito familiare, era il motore di una pompa usata per irrigare un terreno agricolo enorme, in Piemonte, devo ancora credere come potei contattare il proprietario al quale chiesi un cambio tra il motore efficiente piazzato sul mio camion ed il suo completamente scoppiato. Penso che ancora oggi quel “signore” non creda a quella proposta inaspettata e incredibile, ma per me era forse l’unica possibilità che avevo per montare il giusto motore perché della stessa serie, lontano solo qualche numero da quello segnato sul libretto della motorizzazione civile del mio autocarro. Continuando nel racconto dell’impresa, avevo già fatto tre tentativi per fare aggiustare il radiatore, tutti andati male, in effetti ci sono molte differenze tra i meccanici di allora e quelli odierni, in quei tempi le officine servivano da scuole, dopo anni di sacrifici sfornavano operai italiani di primordine che lasciavano la loro impronta in tutto quello che manualmente facevano, per questo dovetti andare a Imperia, entrai in un vecchia e scura officina dove, osservando l’ambiente, sembrava di fare un salto indietro nel tempo, erano le attrezzature e l’odore di quell’insieme che firmavano il mestiere di quell’uomo, fu quel meccanico che mi ridiede il radiatore dell’82 proprio uguale a come doveva essere a quei tempi. Così fu per il motore, destinato a finire consumato come pompa dell’acqua nel terreno Piemontese, invece dopo vari tentativi e ricerche, ormai tastata la realtà, conobbi a Savona un meccanico proprio mentre stava chiudendo per sempre la Sua storica officina, dopo una vita di lavoro dedicata a quei camion, il quale decise di tenere aperto ancora per diversi giorni il laboratorio e, con una rapidità esemplare dovuta certamente sia alla preparazione teorica avuta dai corsi fatti a Torino dalla FIAT organizzati negli anni sessanta, che dalla pratica acquisita durante tutta una vita di lavoro, mi montò il cuore del mio 682. Lui per rifare il motore si rivolse ad una officina di rettifica che operava nelle vicinanze di Torino, in Piemonte, terra e fucina di qualità e competenza italiana anche in questo settore, come da decenni era solito fare, infatti la ditta si era organizzata con un furgone per recuperare dalle officine, sparse nelle regioni limitrofe, motori e quant’altro da aggiustare per poi riportarli finiti e pronti da chi li aveva commissionati, così anche quello, per ultimo, finì dentro la bocca del FIAT e comincio a rombare  nuovamente.  Ho capito dopo, quando lo guidavo e iniziavo a conoscerne le qualità, che alla fine del lavoro, forse, il meccanico mi avrebbe voluto parlare della differenza tra i meccanici di quella stessa officina piemontese di rettifica, differenti per la preparazione e competenza tecnica dovute ai diversi periodi industriali, perché si sente un motore quando gira che musica fa, fu però l’intelligenza e l’esperienza di quell’uomo che lo bloccò nell’affrontare il discorso, per quello che avrebbe potuto essere ma che non fu, per le persone di oggi, le quali non avevano più saputo lasciare su quel motore quella loro impronta personale appartenuta ormai solo ai loro predecessori. C’era forse anche da tener conto delle varie parti assemblate che, a distanza di cinquant’anni, risultavano in qualche modo diverse dalle originali,  i pistoni o i supporti di banco come le bronzine , tutti lavorati diversamente da quegli altri, anch’essi contribuirono a dare un tocco di diversità sia al comportamento prestazionale che al suono del motore, particolarità ricercate ancora oggi dalle grandi case automobilistiche nella costruzione di modelli riferentesi a quelli vincenti del passato. Vorrei anche ricordare tutto il complesso sistema che governa i servizi elettrici, dalle luci al motore d’avviamento alla dinamo, questa parte meritebbe certamente un capitolo a sé infatti gli elettrauto che se ne occupavano avevano nozioni quasi magiche a quei tempi, l’elettricità la sapevano condurre, con aggeggi misteriosi, al momento giusto per avviare appunto il motore o per accendere le luci ma anche, con la dinamo, per ricaricare le batterie da 24 volts, erano veri maghi, conoscevano quei strani aggeggi che aprendoli si mostravano sconosciuti e sorprendenti, oggi sono rari gli elettrauto che ancora sanno aggiustare queste parti fondamentali per viaggiare, ma per fortuna qualcuno ancora esiste e ci meraviglia ancora quando smicca una dinamo o sostituisce un interuttore che mette in funzione il motore d’avviamento guadagnadosi i nostri complimenti. Comunque il restauro non finisce mai, ricercare il passato in una macchina che aveva lavorato e vissuto insieme a chi la adoperava è un’attività infinita, a questo proposito incontrai una sera d’estate, presentatomi da un comune amico un camionista di quei tempi, anch’egli appassionato di camion, cominciò con questi una collaborazione direi da maestro ad allievo, avevo trovato la persona giusta che poteva farmi capire, avendole usate per il lavoro, come venivano vissuti quegli autotreni in quei tempi, diciamo negli anni sessanta. Ormai diventato il mio capomacchina, non smise mai di farmi capire come doveva essere completato e gestito quel 682. Difatti venne sostituito il differenziale con un altro recuperato nel paese di Brescello, quello famoso per i film di Don Camillo e Peppone,  vicino a Parma, come pure il cambio, uno scatolone di ferro in mezzo alla trasmissione piccola che lo collega alla frizione e quella grande che fa girare il differenziale, racchiude le marce normali e le ridotte facendole scivolare su alberi ricoperti di bronzo in modo da non “grippare”, nei cambi più moderni invece erano gli ingranaggi ad avere le bronzine per evitare il surriscaldamento e poi gli specchi retrovisori esterni, fatti da una ditta di Torino, tipici per la forma rotonda e il colore nero, di dimensione ridotte ma con visione buona in quanto concavi e, perciò, in grado di dare una visibilità ampia, tipo quella che dà un obiettivo per la fotografia “grandangolo”, e ancora molti altri pezzi, cercati e in qualche modo trovati, servirono a ridarli il suo aspetto originale. Ma furono ancora più importanti le indicazioni per capire come doveva essere eseguita la manutenzione e la guida, la macchina doveva continuamente essere ingrassata e revisionata dopo l’uso, e durante la guida ascoltata sia con l’udito che con la sensibilità della mano, la quale, appoggiata sul cofano, doveva essere in grado di captarne e valutarne la temperatura in modo da alzare o abbassare la tendina, posta davanti al radiatore, che agendo da termostato manuale permetteva di raffreddare o riscaldare il motore. Ricordo una volta che, arrivando in vetta ad una salita, ci fermammo sul piazzale per una sosta, stavo spegnendo il motore quando una occhiata mi fermò dal farlo, come sempre ci fu la spiegazione razionale dell’esperto capomacchina: ”se fermi il motore come fa, dopo lo sforzo e la bassa velocità a raffreddarsi?”, difatti la pompa del liquido di raffreddamento doveva continuare a lavorare per non fare surriscaldare il monoblocco, così come nelle discese servirsi del freno motore, i vecchi capomacchina, per fare capire ai giovani autisti come usarlo, si mettevano la mano a coprire la bocca e dicevano: “se questa mano rimane troppo a lungo a tappare la bocca muori soffocato!”, allora la mettevano e toglievano al ritmo del respiro a modo che l’allievo capisse che anche la leva del freno motore, dopo aver azzerato l’acceleratore a mano, doveva essere azionata e staccata in modo da non guastare, per surriscaldamento, il motore. Tutto questo il capomacchina lo ha sempre detto e fatto con una signorilità di altri tempi, con una pazienza e educazione direi paterna, per questo comportamento gli ho sempre riconosciuto il grado di Capomacchina. Su queste pagine vedrete i suoi camion, quelli che usava principalmente per trasportare i prodotti di una ditta siderurgica che allora era sita nel comune di Albisola Superiore, vicina al porto di Savona, da qui arrivavano i rotoli e le lastre di metallo che dopo essere state lavorate per raggiungere lo spessore richiesto dai clienti, ripartivano su quei camion per raggiungerli, mai un incidente stradale fermò quei carichi che avevano bisogno di una guida molto dolce, difatti alle lastre impilate le une sulle altre è sufficiente una piccola decelerazione, o una curva affrontata a velocità un poco più elevata, perché queste scivolino creando danni che Voi stessi potete valutare. 


Un desiderio che immagino sia comune agli appassionati è la realizzazione di un vero museo dedicato a questi nostri amici, che magari alternando i mezzi restaurati dia l’immagine e scateni la passione di quelle persone che lo potrebbero visitare e come si usa dire oggi fosse anche interattivo, cioè avesse una officina dove, guidati da maestri esperti, chi volesse imparare a restaurare ne avesse la possibilità, perché sicuramente geni in circolazione ce ne sono sempre e a questi va data l’occasione. Si può comprendere come dal restauro si allaccino infiniti pensieri e ricordi, collegati a quella che è la storia sia degli automezzi che della vita passata in quegli anni, e come la ricerca per il completo restauro dei camion ci faccia anche ricordare degli uomini che lavoravano per essi e con essi. Noi, quando volgiamo lo sguardo indietro, penso che lo facciamo istintivamente per cercare di rivedere qualcuno o qualcosa che veramente ci manca, del quale non solo possiamo averne un caro ricordo ma, restaurandoli, la possibilità di averli ancora vicino. 











Questa sequenza di immagini ci mostra lo stato in cui versava il mezzo e la necessità di recuperare integri tutti i pezzi da restaurare, anche le più piccole viti non dovevano essere danneggiate perché ai nostri giorni introvabili, comunque, dalla prima fotografia all'ultima, si vede il ponte posteriore sostituito con uno della serie originale del modello dell'autocarro e lo si nota dalla forma a cono dell'ultima fotografia.
















Da questa sequenza di immagini vediamo l'inizio di un primo restauro del mezzo che riguarda la cabina, in effetti un restauro difficilmente viene finito col primo approccio in quanto ci vorrebbe la conoscenza perfetta di chi si occupa della carrozzeria come della meccanica o come notiamo in queste ultime immagini della tappezzeria. 




Prima della sabbiatura vediamo il pavimento della cabina, dopo la pulitura con delle saldature e la tinteggiatura ritornava al suo aspetto originale.







Stessa procedura per il telaio, liberato dal motore che non apparteneva alla serie di questo autocarro costruito nel 1959,  iniziava la sabbiatura e la verniciatura.









Dopo l'eliminazione anche di parti estranee, saldate nel corso degli anni di lavoro del mezzo al telaio, si arriva al termine anche di questa parte basilare dell'automezzo. Ci sono infinità di particolari ai quali si potrebbero dedicare spiegazioni e commenti come, per esempio, la campana modello"LUPO" fabbricata dalla ditta ORLANDI oppure la mancanza sul ponte posteriore di ammortizzatori ed altro ancora.  













Le immagini sopra postate ci mostrano l'assembramento della cabina, del motore e altri parti della meccanica,  questo iniziale lavoro permette di valutare quali altri interventi, anche importanti, sono da eseguire per avvicinarsi sempre di più al completamento del restauro.



















In queste fotografie continua l'assemblaggio sia della meccanica che della carrozzeria,  riconosciamo che  l'appassionato  in questo momento valutando il percorso del lavoro fatto continua la sua infinita ricerca sia nel reperimento dei pezzi, naturalmente originali, come anche nella valutazione dei restauratori la quale dev'essere affine alle aspettative precedenti l'inizio del lavoro.
















I freni smontati nuovamente sono stati affidati a mani esperte di chi per una vita li ha saputi ricondizionare quando ancora  questi automezzi, negli anni '50-'60, venivano impiegati nei lavori o di linea o di cantiere, subito dopo averli smontati il giudizio di chi veramente li conosceva, anche a distanza di decenni, era implacabile come se ricordasse gli ordini che da ragazzo aveva ricevuto per imparare il mestiere.






Quando i lavori sulla motrice erano a buon punto si presentò il restauro del rimorchio, non fù da meno misurarsi con un mezzo che sembrava più semplice all'apparenza, ma in realtà nella sua specificità presentò parecchie difficoltà specialmente per la corrosione dovuta ai decenni di inattività. Infatti neanche il calore sprigionato dalla fiamma ossidrica riuscì ad averla vinta, per esempio, sulle decine di sfere della ralla che la rendevano completamente bloccata, unico vantaggio non da poco era ormai l'aiuto di veri conoscitori del mestiere come il meccanico, già messo alla prova sulla ripresa del restauro della motrice che un carrozziere disposto a farlo lavorare nella sua carrozzeria.















Altri commenti direi che sarebbero superflui, specialmente a chi con questi automezzi ci ha lavorato, dalla ricostruzione si passa a vedere il mezzo finito, o quasi, complimenti a chi ha saputo trasferire le proprie competenze sul ferro del rimorchio.

FIAT 682 N2  2a Serie anno 1959





FIAT 682 N2 anno 1959 e rimorchio ADIGE anno 1963