A cento anni dalla
costruzione dei primi autocarri moderni sentiamo già la necessità di non
perderli, e con loro di non perdere il passato che rappresentano, fatto di
uomini capaci di progettarli e costruirli, uomini che avevano anche il coraggio
e le forze di spingere la società ad organizzarsi per seguirli a creare, con
tutte le infrastrutture indispensabili, la rete per l’autotrasporto. Le strade,
i viadotti e le gallerie sono sorte grazie a eserciti di manovali che
partecipavano entusiasti, consci di fare un qualcosa di grande che, una volta
terminato, avrebbe permesso anche a loro di viverlo, dal quale anche loro
avrebbero avuto benefici, una vita moderna e migliore. Cento anni per una persona
giovane sono un’eternità, invece per me ed i miei coscritti sono sempre troppo
pochi, per chi sa voltarsi indietro senza paura per ricordare quello che la
vita gli ha saputo far vedere e vivere sono un lampo. E’ difficile ricostruire
il tempo e la storia, la storia dell’umanità con i suoi trecentomila anni di
vita dell’uomo sulla terra e la nostra storia, quella relativa alla età media della gente che vive
il proprio tempo in ogni epoca, dimenticandosi ogni tanto di alzare la testa
per capire se ognuno, o l’intera società, in quel momento, stanno riconoscendo
dei valori per assoluti quando invece sono relativi al loro tempo, perciò
dettati da chi ha il potere di condizionare la massa con conformismi e
condizionamenti che, già limitata dalla lingua e dai confini politici, può
impoverirsi sprecando intelligenza e ricchezze da impiegare in ben altri
progetti più razionali. Da questo si può iniziare il discorso sul restauro dei
mezzi pesanti, tanto per dare una risposta, da un punto ben alto sull’orizzonte,
a chi ci chiede, chino a guardarsi la punta dei piedi, se è giusto occupare
tempo, risorse e sforzi di ogni tipo, tralasciando magari doveri più
essenziali, per raggiungere quelle mete ottenute col recupero di un camion o di
una corriera costruita quasi cento anni fa. Valorizzare una meta è sempre una
stima soggettiva, prima di giudicare è importante capire per valutare, dal
punto di vista il più alto possibile, se non stiamo guardando anche noi la
punta dei piedi. Non credo nell’esistenza di un appassionato che esterni
completamente o sappia spiegare ad altre persone le vere motivazioni che lo
spingono a realizzare un’impresa così grande come quella di restaurare un mezzo
pesante. Potremmo iniziare col dividere in due momenti l’analisi che spiega
cosa ricerchiamo dal restauro, una prima parte riguarda la scoperta e la conoscenza dell’automezzo, la seconda quella che sarà la
pratica della guida, cioè l’utilizzo a lavoro finito del camion. Praticamente
una prima parte ci obbliga a capire quel tempo passato, mettendoci nei panni
dei meccanici e degli autisti di quegli anni, quando il mezzo è stato costruito
e guidato, l’altra è un copia e incolla di una macchina obsoleta che gettata
nel traffico dei giorni nostri, dove il rispetto e la gratitudine per il
vecchio eroe non vengono assolutamente esercitati, ci permette di valutare le
varie differenze potendola confrontare con le attuali moderne. In queste pagine
vedremo delle fotografie che ci faranno apparire le varie fasi del recupero di
un FIAT 682 N2 seconda serie, prodotto a Torino negli stabilimenti della
Mirafiori, negli anni dal 1957 al 1959 e del suo rimorchio a tre assi, prodotto
dalle Officine Adige di Verona qualche anno più tardi, precisamente nel 1964.
Non ci soffermeremo sulle incredibili questioni burocratiche ne sugli ostacoli
che la nostra società, con le diverse normative emanate o dalle provincie
oppure dai vari registri pubblici o ancora da chi deve fare rispettare queste,
mette davanti a chi valorizza a proprio carico gli automezzi italiani, benché
queste già dal primo giorno dall’acquisto interessino e gravino sulle spalle dell’appassionato,
difatti già il primo spostamento dell’automezzo crea difficoltà per esempio se
intervengono controlli effettuati da parte delle forze di Polizia oppure Enti
Statali preposti alla registrazione nei pubblici registri o ancora Enti con
compiti per la certificazione di collaudo o revisione, solamente per citarne
qualcuno. Le prime operazioni del salvataggio del camion riguardano lo
smontaggio di tutto il mezzo usando l’accortezza di non guastare nessuna parte,
anche piccola, in quanto difficilmente reperibile come pezzo di ricambio
originale o introvabile come pezzo usato facente parte magari di un camion
simile. A questo proposito mi ricordo della risposta che mi diede uno dei
maggiori commercianti di mezzi usati in Romagna, miniere un tempo di pezzi di
ricambio, quando gli chiesi se avesse da vendermi delle parti di meccanica per
il mio 682, questi perentorio mi disse: ”Noi del 682 non ci ricordiamo neanche
che faccia avesse”. Per mia esperienza Vi posso dire che un camion usato per
decine di anni sulla linea e poi nei cantieri, sino allo stremo per
ammortizzarne i costi, subiva trasformazioni di mano in mano che i pezzi si
logoravano, perché già negli anni sessanta del secolo scorso, erano soventi le innovazioni
anche importanti dei vari pezzi che lo costituivano. Perciò un ponte posteriore
più robusto e veloce veniva montato al posto di quello originario, così il
cambio, il radiatore magari in parte di plastica e anche di un’altra fabbrica
poteva essere preferito a quello esistente in quanto meno costoso e più
affidabile, evitando l’assistenza di artigiani meccanici competenti che allora
si trovavano abbastanza numerosi e specializzati, per esempio ricordiamo oltre
agli addetti al motore quelli che si occupavano dei freni oppure delle
sospensioni a balestra, come anche gli “elettrauto”, maghi di quelle
apparecchiature così misteriose ma necessarie specialmente nelle gelide mattine
invernali per l’avviamento del motore o l’accensione dei fari come anche le
dinamo che provvedevano a ricaricare le batterie, così citiamo gli altri
meccanici specializzati nelle pompe di iniezione della miscela di carburante
per finire per ultimi ma non ultimi, i carrozzieri, veri depositari
dell’artigianato italiano, persone tutte capaci di rifare un pezzo identico
all’originale. Da questa situazione possiamo dare ancora maggiore importanza a
quello che un museo relativo all’argomento degli autotrasporti potrebbe dare se
inclusivo, oltre che all’esposizione dei mezzi, della spiegazione storica e
delle capacità artigianali degli uomini, magari riproducendo e facendo lavorare
una parte di esso con compiti di officina e scuola di lavoro specifico. Dunque per il recupero delle parti mancanti o
da sostituire rimane la fortuna, il caso se non vogliamo scomodare il destino,
per chi ci crede, da parte mia ho iniziato a macinare chilometri e a conoscere
persone. Statisticamente è la quantità di queste, con la loro disponibilità a
capire l’importanza della ricerca, che mi hanno permesso di avvicinarmi al
completamento del lavoro, che personalmente valuto intorno al 50 o 60 per cento
di quello che all’inizio mi prefiggevo, certamente questa percentuale di lavoro non è
perfetta come potessi immaginarmi all’inizio dell’opera, ma anche grazie alle
persone che allora guidavano per lavoro queste macchine e che sono riuscito ad
interpellare, credo, direi giustamente, si possa accettare il risultato finale.
Ricordo quando cercavo quello che mi poteva servire, nel poco tempo libero a
disposizione, facendo lunghi tragitti interni di zone a me sconosciute,
fermandomi appena vedevo qualcosa che mi desse l’idea di essere vicino al
tesoro, chiedevo a quante più persone possibile se avevano loro stessi dei
pezzi, oppure qualche informazione utile di qualcuno che mi potesse aiutare. Un
giorno, perlustrando una nuova zona sentii una musica ,diciamo orecchiabile, un
suono che mi parse subito familiare, era il motore di una pompa usata per irrigare
un terreno agricolo enorme, in Piemonte, devo ancora credere come potei contattare
il proprietario al quale chiesi un cambio tra il motore efficiente piazzato sul
mio camion ed il suo completamente scoppiato. Penso che ancora oggi quel
“signore” non creda a quella proposta inaspettata e incredibile, ma per me era
forse l’unica possibilità che avevo per montare il giusto motore perché della
stessa serie, lontano solo qualche numero da quello segnato sul libretto della
motorizzazione civile del mio autocarro. Continuando nel racconto dell’impresa,
avevo già fatto tre tentativi per fare aggiustare il radiatore, tutti andati
male, in effetti ci sono molte differenze tra i meccanici di allora e quelli
odierni, in quei tempi le officine servivano da scuole, dopo anni di sacrifici
sfornavano operai italiani di primordine che lasciavano la loro impronta in
tutto quello che manualmente facevano, per questo dovetti andare a Imperia,
entrai in un vecchia e scura officina dove, osservando l’ambiente, sembrava di
fare un salto indietro nel tempo, erano le attrezzature e l’odore di
quell’insieme che firmavano il mestiere di quell’uomo, fu quel meccanico che mi
ridiede il radiatore dell’82 proprio uguale a come doveva essere a quei tempi.
Così fu per il motore, destinato a finire consumato come pompa dell’acqua nel
terreno Piemontese, invece dopo vari tentativi e ricerche, ormai tastata la
realtà, conobbi a Savona un meccanico proprio mentre stava chiudendo per sempre
la Sua storica officina, dopo una vita di lavoro dedicata a quei camion, il
quale decise di tenere aperto ancora per diversi giorni il laboratorio e, con
una rapidità esemplare dovuta certamente sia alla preparazione teorica avuta
dai corsi fatti a Torino dalla FIAT organizzati negli anni sessanta, che dalla
pratica acquisita durante tutta una vita di lavoro, mi montò il cuore del mio
682. Lui per rifare il motore si rivolse ad una officina di rettifica che operava
nelle vicinanze di Torino, in Piemonte, terra e fucina di qualità e competenza
italiana anche in questo settore, come da decenni era solito fare, infatti la
ditta si era organizzata con un furgone per recuperare dalle officine, sparse
nelle regioni limitrofe, motori e quant’altro da aggiustare per poi riportarli
finiti e pronti da chi li aveva commissionati, così anche quello, per ultimo,
finì dentro la bocca del FIAT e comincio a rombare nuovamente. Ho capito dopo, quando lo guidavo e iniziavo a
conoscerne le qualità, che alla fine del lavoro, forse, il meccanico mi avrebbe
voluto parlare della differenza tra i meccanici di quella stessa officina piemontese
di rettifica, differenti per la preparazione e competenza tecnica dovute ai
diversi periodi industriali, perché si sente un motore quando gira che musica
fa, fu però l’intelligenza e l’esperienza di quell’uomo che lo bloccò
nell’affrontare il discorso, per quello che avrebbe potuto essere ma che non
fu, per le persone di oggi, le quali non avevano più saputo lasciare su quel
motore quella loro impronta personale appartenuta ormai solo ai loro
predecessori. C’era forse anche da tener conto delle varie parti assemblate
che, a distanza di cinquant’anni, risultavano in qualche modo diverse dalle
originali, i pistoni o i supporti di
banco come le bronzine , tutti lavorati diversamente da quegli altri, anch’essi
contribuirono a dare un tocco di diversità sia al comportamento prestazionale
che al suono del motore, particolarità ricercate ancora oggi dalle grandi case
automobilistiche nella costruzione di modelli riferentesi a quelli vincenti del
passato. Vorrei anche ricordare tutto il complesso sistema che governa i
servizi elettrici, dalle luci al motore d’avviamento alla dinamo, questa parte
meritebbe certamente un capitolo a sé infatti gli elettrauto che se ne
occupavano avevano nozioni quasi magiche a quei tempi, l’elettricità la
sapevano condurre, con aggeggi misteriosi, al momento giusto per avviare
appunto il motore o per accendere le luci ma anche, con la dinamo, per
ricaricare le batterie da 24 volts, erano veri maghi, conoscevano quei strani
aggeggi che aprendoli si mostravano sconosciuti e sorprendenti, oggi sono rari
gli elettrauto che ancora sanno aggiustare queste parti fondamentali per
viaggiare, ma per fortuna qualcuno ancora esiste e ci meraviglia ancora quando
smicca una dinamo o sostituisce un interuttore che mette in funzione il motore
d’avviamento guadagnadosi i nostri complimenti. Comunque il restauro non
finisce mai, ricercare il passato in una macchina che aveva lavorato e vissuto insieme
a chi la adoperava è un’attività infinita, a questo proposito incontrai una
sera d’estate, presentatomi da un comune amico un camionista di quei tempi,
anch’egli appassionato di camion, cominciò con questi una collaborazione direi
da maestro ad allievo, avevo trovato la persona giusta che poteva farmi capire,
avendole usate per il lavoro, come venivano vissuti quegli autotreni in quei
tempi, diciamo negli anni sessanta. Ormai diventato il mio capomacchina, non
smise mai di farmi capire come doveva essere completato e gestito quel 682.
Difatti venne sostituito il differenziale con un altro recuperato nel paese di
Brescello, quello famoso per i film di Don Camillo e Peppone, vicino a Parma, come pure il cambio, uno
scatolone di ferro in mezzo alla trasmissione piccola che lo collega alla
frizione e quella grande che fa girare il differenziale, racchiude le marce
normali e le ridotte facendole scivolare su alberi ricoperti di bronzo in modo
da non “grippare”, nei cambi più moderni invece erano gli ingranaggi ad avere
le bronzine per evitare il surriscaldamento e poi gli specchi retrovisori esterni,
fatti da una ditta di Torino, tipici per la forma rotonda e il colore nero, di
dimensione ridotte ma con visione buona in quanto concavi e, perciò, in grado
di dare una visibilità ampia, tipo quella che dà un obiettivo per la fotografia
“grandangolo”, e ancora molti altri pezzi, cercati e in qualche modo trovati,
servirono a ridarli il suo aspetto originale. Ma furono ancora più importanti
le indicazioni per capire come doveva essere eseguita la manutenzione e la
guida, la macchina doveva continuamente essere ingrassata e revisionata dopo
l’uso, e durante la guida ascoltata sia con l’udito che con la sensibilità
della mano, la quale, appoggiata sul cofano, doveva essere in grado di captarne
e valutarne la temperatura in modo da alzare o abbassare la tendina, posta
davanti al radiatore, che agendo da termostato manuale permetteva di
raffreddare o riscaldare il motore. Ricordo una volta che, arrivando in vetta
ad una salita, ci fermammo sul piazzale per una sosta, stavo spegnendo il
motore quando una occhiata mi fermò dal farlo, come sempre ci fu la spiegazione
razionale dell’esperto capomacchina: ”se fermi il motore come fa, dopo lo
sforzo e la bassa velocità a raffreddarsi?”, difatti la pompa del liquido di
raffreddamento doveva continuare a lavorare per non fare surriscaldare il
monoblocco, così come nelle discese servirsi del freno motore, i vecchi
capomacchina, per fare capire ai giovani autisti come usarlo, si mettevano la
mano a coprire la bocca e dicevano: “se questa mano rimane troppo a lungo a tappare
la bocca muori soffocato!”, allora la mettevano e toglievano al ritmo del
respiro a modo che l’allievo capisse che anche la leva del freno motore, dopo
aver azzerato l’acceleratore a mano, doveva essere azionata e staccata in modo
da non guastare, per surriscaldamento, il motore. Tutto questo il capomacchina
lo ha sempre detto e fatto con una signorilità di altri tempi, con una pazienza
e educazione direi paterna, per questo comportamento gli ho sempre riconosciuto
il grado di Capomacchina. Su queste pagine vedrete i suoi camion, quelli che
usava principalmente per trasportare i prodotti di una ditta siderurgica che
allora era sita nel comune di Albisola Superiore, vicina al porto di Savona, da
qui arrivavano i rotoli e le lastre di metallo che dopo essere state lavorate
per raggiungere lo spessore richiesto dai clienti, ripartivano su quei camion
per raggiungerli, mai un incidente stradale fermò quei carichi che avevano
bisogno di una guida molto dolce, difatti alle lastre impilate le une sulle
altre è sufficiente una piccola decelerazione, o una curva affrontata a
velocità un poco più elevata, perché queste scivolino creando danni che Voi
stessi potete valutare.
Un desiderio che immagino sia
comune agli appassionati è la realizzazione di un vero museo dedicato a questi
nostri amici, che magari alternando i mezzi restaurati dia l’immagine e scateni
la passione di quelle persone che lo potrebbero visitare e come si usa dire
oggi fosse anche interattivo, cioè avesse una officina dove, guidati da maestri
esperti, chi volesse imparare a restaurare ne avesse la possibilità, perché
sicuramente geni in circolazione ce ne sono sempre e a questi va data
l’occasione. Si può comprendere come dal restauro si allaccino infiniti pensieri
e ricordi, collegati a quella che è la storia sia degli automezzi che della
vita passata in quegli anni, e come la ricerca per il completo restauro dei
camion ci faccia anche ricordare degli uomini che lavoravano per essi e con
essi. Noi, quando volgiamo lo sguardo indietro, penso che lo facciamo
istintivamente per cercare di rivedere qualcuno o qualcosa che veramente ci
manca, del quale non solo possiamo averne un caro ricordo ma, restaurandoli, la
possibilità di averli ancora vicino.
|
Questa sequenza di immagini ci mostra lo stato in cui versava il mezzo e la necessità di recuperare integri tutti i pezzi da restaurare, anche le più piccole viti non dovevano essere danneggiate perché ai nostri giorni introvabili, comunque, dalla prima fotografia all'ultima, si vede il ponte posteriore sostituito con uno della serie originale del modello dell'autocarro e lo si nota dalla forma a cono dell'ultima fotografia. |
|
Da questa sequenza di immagini vediamo l'inizio di un primo restauro del mezzo che riguarda la cabina, in effetti un restauro difficilmente viene finito col primo approccio in quanto ci vorrebbe la conoscenza perfetta di chi si occupa della carrozzeria come della meccanica o come notiamo in queste ultime immagini della tappezzeria. |
|
Prima della sabbiatura vediamo il pavimento della cabina, dopo la pulitura con delle saldature e la tinteggiatura ritornava al suo aspetto originale. |
|
Stessa procedura per il telaio, liberato dal motore che non apparteneva alla serie di questo autocarro costruito nel 1959, iniziava la sabbiatura e la verniciatura. |
|
Dopo l'eliminazione anche di parti estranee, saldate nel corso degli anni di lavoro del mezzo al telaio, si arriva al termine anche di questa parte basilare dell'automezzo. Ci sono infinità di particolari ai quali si potrebbero dedicare spiegazioni e commenti come, per esempio, la campana modello"LUPO" fabbricata dalla ditta ORLANDI oppure la mancanza sul ponte posteriore di ammortizzatori ed altro ancora. |
|
Le immagini sopra postate ci mostrano l'assembramento della cabina, del motore e altri parti della meccanica, questo iniziale lavoro permette di valutare quali altri interventi, anche importanti, sono da eseguire per avvicinarsi sempre di più al completamento del restauro. |
|
In queste fotografie continua l'assemblaggio sia della meccanica che della carrozzeria, riconosciamo che l'appassionato in questo momento valutando il percorso del lavoro fatto continua la sua infinita ricerca sia nel reperimento dei pezzi, naturalmente originali, come anche nella valutazione dei restauratori la quale dev'essere affine alle aspettative precedenti l'inizio del lavoro. |
|
I freni smontati nuovamente sono stati affidati a mani esperte di chi per una vita li ha saputi ricondizionare quando ancora questi automezzi, negli anni '50-'60, venivano impiegati nei lavori o di linea o di cantiere, subito dopo averli smontati il giudizio di chi veramente li conosceva, anche a distanza di decenni, era implacabile come se ricordasse gli ordini che da ragazzo aveva ricevuto per imparare il mestiere. |
|
Quando i lavori sulla motrice erano a buon punto si presentò il restauro del rimorchio, non fù da meno misurarsi con un mezzo che sembrava più semplice all'apparenza, ma in realtà nella sua specificità presentò parecchie difficoltà specialmente per la corrosione dovuta ai decenni di inattività. Infatti neanche il calore sprigionato dalla fiamma ossidrica riuscì ad averla vinta, per esempio, sulle decine di sfere della ralla che la rendevano completamente bloccata, unico vantaggio non da poco era ormai l'aiuto di veri conoscitori del mestiere come il meccanico, già messo alla prova sulla ripresa del restauro della motrice che un carrozziere disposto a farlo lavorare nella sua carrozzeria. |
|
Altri commenti direi che sarebbero superflui, specialmente a chi con questi automezzi ci ha lavorato, dalla ricostruzione si passa a vedere il mezzo finito, o quasi, complimenti a chi ha saputo trasferire le proprie competenze sul ferro del rimorchio. |
|
FIAT 682 N2 2a Serie anno 1959 |
FIAT 682 N2 anno 1959 e rimorchio ADIGE anno 1963
Nessun commento:
Posta un commento