giovedì 17 novembre 2016

IL DIALOGO

                            
                            FIAT 682 N2 II Sr. 1959 in entrata porto di Savona

Dopo le prime iniziative intraprese per cercare di entrare nel mondo degli autotrasporti, mi resi conto di non riuscire a stabilire nessun tipo di contatto con chi già ne faceva parte. Parecchie volte dopo che mi ero attrezzato con la patente D – E corredata dal C A P, per la guida degli autobus turistici, dunque non di linea e, dal  A D R che teoricamente abilita alla guida di tutti i mezzi idonei al trasporto di merci, anche liquide, comprese quelle classificate come pericolose, avevo chiesto a camionisti conosciuti occasionalmente se potevo viaggiare con loro per poter capire di cosa in realtà fosse il loro lavoro e di conseguenza, praticandolo, capire in che modo potevo rapportarmi con esso.
Così anche i primi approcci con i nuovi amici del C.I.C.S. finivano con ben poche soddisfazioni e qualche delusione. Questo perché non riuscivo a sostenere un dialogo che fosse reciprocamente produttivo, in quanto da parte mia c’era solo la passione e la voglia di carpire dagli interlocutori le loro esperienze e il loro sapere, di contro, chi mi era di fronte capiva che io non gli potevo dare niente e magari non coglieva nemmeno la volontà che avevo per arrivare a fare seriamente qualcosa di mio in un futuro prossimo. Tutto questo, quando ritornavo a casa, mi faceva riflettere su quello che avevo ascoltato e con chi avevo parlato. In altre parole il dialogo era l’unica cosa che mi rimaneva, che mi legava agli altri, ed in fin dei conti però non era poco.
Su questi primi colloqui iniziai a fondare tutti i miei ragionamenti, tutti i miei progetti per cercare di ottenere sempre qualcosa di più, che mi potesse far capire quel mondo. Perciò al dialogo voglio riconoscere l’importanza con la quale ho potuto conoscere e imparare dagli altri ciò che da solo era impossibile che giungessi a sapere per iniziare a ritagliarmi un posto in mezzo a quella gente che iniziavo a conoscere, a frequentare. Il dialogo e gli interlocutori, ripensare a tutto quello che mi raccontavano e chi erano quelle persone che mi parlavano, da questo ho iniziato a farmi un’idea del popolo di quel mondo:
1)  Il dialogo con i forti -  con coloro che credono in ciò che fanno, i meccanici e i camionisti che hanno la saggezza di sapersi gestire e amministrare, sanno fare responsabilmente il proprio lavoro con la lucidità nel vedere chiaramente le priorità da affrontare, dettata dalla conoscenza del proprio mestiere, con l’esperienza acquisita nel tempo come anche le norme acquisite sui testi con le quali si possono fare delle scelte vincenti riguardo al futuro, vivendo con serenità il trascorrere del tempo sul lavoro nonostante le difficoltà e gli imprevisti, sempre presenti, che ostacolano il normale procedere dell’impresa, le amarezze per obiettivi non sempre raggiunti nonostante l’impegno e la professionalità profusi.
Lavorano con la soddisfazione di avere possesso di un mezzo che gli da la possibilità di realizzarsi, svolgendo una attività che li presenta agli altri per quello che fanno, che gli da un ruolo nella società, questo è anche testimoniato dalle associazioni che raggruppano gli autotrasportatori e dalle riviste che documentano oggettivamente il servizio dell’autotrasporto per la società.
Lavorano senza vivere di conformismi e di illusioni, ipocrisie che porterebbero solo ad effimeri miraggi, dove ti ritrovi a capire di non aver compiuto nulla di concreto, di valido e coerente con la vera cultura del lavoro e, dunque, vivendo attivamente con passione la loro professione.
Avendo l’entusiasmo e l’ambizione di raggiungere sempre nuove mete, naturalmente col proprio camion. Sapendo che la vita non è il solito film proiettato sullo schermo o il racconto fatto dai media, ma è la storia che siamo in grado di realizzare noi con i nostri mezzi, col nostro raziocinio e la nostra forza.

2)  Il dialogo con i deboli  -  con coloro che a causa della sfortuna, o per rispetto dell’affetto ricevuto dalla famiglia che li invitava a  non intraprendere il mestiere del camionista, non hanno realizzato il proprio sogno, in questo ne siamo forse la maggioranza, come paragonarsi all’acqua che spinta dalle leggi naturali, si incanala dentro alle fessure della terra, occupando con casualità o forse per destino gli spazi trovati liberi, come percorrere uno sconosciuto labirinto sino a sgorgare passivamente in un luogo non scelto e non desiderato.
Così la nostra vita ci ha portato ad occupare passivamente un ruolo nel mondo del lavoro non idoneo ad appagare le nostre velleità, a sfruttare le nostre attitudini, facendoci lavorare svolgendo compiti senza particolare interesse personale, magari solamente per la necessità finanziaria che soddisfa i bisogni essenziali, quindi subendo l’ambiente di lavoro, senza credere in ciò che si fa, calandosi in una routine quotidiana e cercando fuori dall’ambiente del lavoro nel tempo libero, quasi per gioco, interessi e attività che possano sopperire a questa mancanza di soddisfazione, purtroppo il mondo del lavoro è ancora gestito e regolato da sistemi che non permettono alle persone di muoversi dentro di esso in modo da arrivare ad un posto di lavoro confacente i loro interessi, permettendo a chiunque di esprimersi con le proprie capacità e attitudini, rendendole serene e appagate.
3)Il dialogo con gli appassionati come me, persone spinte dalla volontà di entrare nel mondo degli autotrasporti, ognuna percorrendo strade diverse perché condizionati dalla propria personalità e dalle loro esperienze, cercano di conoscere aspetti della professione oppure degli automezzi come anche delle merci che vengono trasportate, ma per arrivare a questo occorrono le informazioni dagli addetti, dai professionisti del settore ed allora far nascere il dialogo diventa molto difficile. Un’attività affrontata per professione è imparagonabile alla stessa fatta per hobby, il dialogo con i professionisti diventa un tentativo improbo, tanto da dividere gli appassionati da loro e dunque di fargli vivere la passione solamente tra loro. Chi lavora nel settore non avrebbe saputo cogliere il significato delle nostre domande, dei nostri progetti che avremmo voluto realizzare per vivere questa passione, tentativi inutili di dialogo, porte chiuse alle prime battute, incomprensioni quando, forse ingenuamente, si accennava all’argomento per dare inizio ad un discorso per noi costruttivo e, peggio ancora, quando si cercava di inserirsi nell’ambiente anche solamente chiedendo di salire in cabina da passeggero per partecipare a viaggi di lavoro. I vari tentativi fatti per arrivare a vivere sul camion erano molto difficili, sembrava di dileggiarli, i camionisti, sminuirne il loro lavoro, probabilmente ogni volta che si cercava di iniziare una qualsiasi collaborazione rivedevano davanti ai loro occhi tutti quegli sforzi e quelle fatiche fatte in tanti anni di lavoro e questi li rendevano scettici di fronte ad una richiesta buttata lì da una persona che gli appariva ignorante, ignara su quello che andava a chiedere loro. Con questo non è che il dialogo si facesse difficile perché lo era sempre stato. Mi ricordo di un giorno a scuola, avevamo undici o dodici anni, un compagno originario del Veneto ad una mia domanda su cosa ricordasse riguardo ai camion in quella regione mi rispose raccontandomi delle sue passeggiate in bicicletta che avevano per meta una fabbrica, forse la Perlini, la quale produceva un modello di camion da cantiere chiamato “Dumper”(scaricatore, facchino),  discorso subito terminato quando ci accorgemmo degli altri compagni stupiti dell’argomento trattato, dagli sguardi capimmo che era meglio parlare d’altro, forse di cose più alla moda, più costruttive di quell’immagine conformistica che faceva tanto tendenza, specialmente fra i tenagers, vedi argomenti artistici commerciali e immaginifici di un apparire moderno e che magari seguisse i dettami della nascente pubblicità che appariva sempre più insistentemente sui media di allora. Discorso chiuso quindi e, in famiglia poi, a quelle macchine manco bisognava pensarci, troppo sconosciute e pericolose, i disagi, il distacco con l’idea di una vita passata lontano dalla famiglia, era una scelta completamente da scartare. Ancora oggi un camionista, figlio di un contadino, dopo qualche tempo di gavetta si presentò in paese, davanti al padre, con un meraviglioso nuovo FIAT 691 a otto assi, ribaltabile sia motrice che rimorchio, un mezzo a metà degli anni settanta fantastico, alla vista di tutto questo il padre snobbandolo appellò il figlio ai suoi amici compaesani col nome di “industriale”, tanto si distaccava l’attività del giovane rispetto alla tradizionale del genitore.
Con questo potrei dire di avere illustrato una situazione molto scoraggiante per arrivare a concretizzare il sogno, ma pur con fatica questa è una sfida che mi sono proposto di portare avanti, anche con questo lavoro, quello che scrivo mi da modo di buttare un sasso nello stagno delle persone animate da vera passione, per noi che ci consideriamo a casa quando siamo dentro la cabina di un camion. Considero molto positivamente usare qualsiasi mezzo che permetta alle persone di dialogare, come in questo caso sarebbe una vittoria poter fare esprimere qualcuno riguardo all’argomento della nostra passione, cioè i camion e l’autotrasporto, ci saranno sicuramente appassionati che senza paura avranno qualcosa da dirci nel merito, con esperienze e ricordi, testimonianze che unite insieme fanno la storia del trasporto con i camion in Italia. E’ importante poter dialogare, trovare delle persone come gli amici del C.I.C.S., con le quali finalmente ci si può esprimere liberamente, senza subire giudizi, avendo risposte per assecondare la conoscenza sull’argomento da persone che con le loro esperienze ti possono spiegare avendo vissuto la realtà dell’ambiente come anche dei suoi problemi. Loro ti possono raccontare delle soddisfazioni oppure anche delle delusioni di chi guida questi mezzi, o altro ancora, come le norme raccolte nel codice della strada, che condizionano i comportamenti sulle strade degli appartenenti a questo settore sino a creare usi e scelte individuali, dettate dalle interpretazioni personali che ognuno di noi fa nel consultare una norma tanto da fare scaturire le malizie del mestiere. Il dialogo poi, se oltre ai soci del C.I.C.S. che hanno come obbiettivo principale il restauro dei mezzi d’epoca, si estende a tutte quelle persone capaci, con la loro fantasia, di diramare l’argomento su altre iniziative che lo possono rappresentare o raccontare, ugualmente importanti per sostenere la passione. Pensiamo ad esempio a chi costruisce gli automodelli in scala, precisi sin nei minimi particolari, sono pochi meravigliosi artigiani che profondono la loro passione e le loro capacità nel realizzarli uguali ai veri tanto da farci stupire nel vederli alle mostre specializzate, oppure i fotografi, presenti da sempre perché la loro epoca nacque prima degli autotrasporti, a tramandarci le immagini scattate nell’immortalare un momento strappato in un attimo particolare di qualche avvenimento oppure in pose statiche di presentazioni od occasioni celebrative. Le compagnie cinematografiche ci hanno fatto assistere a pellicole come “Fari nella nebbia” o “Il bestione” scritti da appassioni per il grande pubblico delle platee dei cinema, interpretati dai più famosi nomi dello spettacolo sicuri che questi avrebbero fatto un enorme successo perché la gente era di certo interessata, ma possiamo anche citare chi si occupa di organizzare raduni o passerelle dei mezzi storici, infaticabili amici che nell’ombra, senza mai apparire appunto, prestano la loro fatica per far conoscere autobus e autocarri ai cittadini dei tanti Comuni che ospitano le manifestazioni, chi organizza le mostre dove possono avvenire gli scambi anche delle parti di ricambio utili per i restauri, importanti per far ritornare a viaggiare i “nonni” dopo le cure che, quei pochi meccanici e carrozzieri ancora capaci ed attivi oggi come ai tempi della loro gioventù, riescono a dargli, magari rammentando tempi durissimi perché chi insegnava loro non badava certo a gentilezze o garbati modi nel rivolgerglisi in quanto un mestiere andava acquisito provando passione tenacia e interesse. Credo perciò che per questo sia importante il dialogo, per tener viva la passione, perché è con la stima e il legame tra la gente che si riesce a sostenere la memoria e la continuità per ciò che noi ora consideriamo un patrimonio, un’epoca da inserire nella storia dell’umanità.



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