FIAT 682 N2 II Sr. 1959 in entrata porto di Savona
Dopo le prime iniziative intraprese per cercare di entrare nel mondo degli autotrasporti, mi resi conto di non riuscire a stabilire nessun tipo di contatto con chi già ne faceva parte. Parecchie volte dopo che mi ero attrezzato con la patente D – E corredata dal C A P, per la guida degli autobus turistici, dunque non di linea e, dal A D R che teoricamente abilita alla guida di tutti i mezzi idonei al trasporto di merci, anche liquide, comprese quelle classificate come pericolose, avevo chiesto a camionisti conosciuti occasionalmente se potevo viaggiare con loro per poter capire di cosa in realtà fosse il loro lavoro e di conseguenza, praticandolo, capire in che modo potevo rapportarmi con esso.
Così
anche i primi approcci con i nuovi amici del C.I.C.S. finivano con ben poche
soddisfazioni e qualche delusione. Questo perché non riuscivo a sostenere un
dialogo che fosse reciprocamente produttivo, in quanto da parte mia c’era solo
la passione e la voglia di carpire dagli interlocutori le loro esperienze e il loro
sapere, di contro, chi mi era di fronte capiva che io non gli potevo dare
niente e magari non coglieva nemmeno la volontà che avevo per arrivare a fare
seriamente qualcosa di mio in un futuro prossimo. Tutto questo, quando
ritornavo a casa, mi faceva riflettere su quello che avevo ascoltato e con chi
avevo parlato. In altre parole il dialogo era l’unica cosa che mi rimaneva, che
mi legava agli altri, ed in fin dei conti però non era poco.
Su
questi primi colloqui iniziai a fondare tutti i miei ragionamenti, tutti i miei
progetti per cercare di ottenere sempre qualcosa di più, che mi potesse far
capire quel mondo. Perciò al dialogo voglio riconoscere l’importanza con la
quale ho potuto conoscere e imparare dagli altri ciò che da solo era
impossibile che giungessi a sapere per iniziare a ritagliarmi un posto in mezzo
a quella gente che iniziavo a conoscere, a frequentare. Il dialogo e gli
interlocutori, ripensare a tutto quello che mi raccontavano e chi erano quelle
persone che mi parlavano, da questo ho iniziato a farmi un’idea del popolo di
quel mondo:
1) Il dialogo con i forti - con coloro che credono in ciò che fanno, i
meccanici e i camionisti che hanno la saggezza di sapersi gestire e
amministrare, sanno fare responsabilmente il proprio lavoro con la lucidità nel
vedere chiaramente le priorità da affrontare, dettata dalla conoscenza del
proprio mestiere, con l’esperienza acquisita nel tempo come anche le norme
acquisite sui testi con le quali si possono fare delle scelte vincenti riguardo
al futuro, vivendo con serenità il trascorrere del tempo sul lavoro nonostante
le difficoltà e gli imprevisti, sempre presenti, che ostacolano il normale
procedere dell’impresa, le amarezze per obiettivi non sempre raggiunti
nonostante l’impegno e la professionalità profusi.
Lavorano
con la soddisfazione di avere possesso di un mezzo che gli da la possibilità di
realizzarsi, svolgendo una attività che li presenta agli altri per quello che
fanno, che gli da un ruolo nella società, questo è anche testimoniato dalle
associazioni che raggruppano gli autotrasportatori e dalle riviste che
documentano oggettivamente il servizio dell’autotrasporto per la società.
Lavorano
senza vivere di conformismi e di illusioni, ipocrisie che porterebbero solo ad
effimeri miraggi, dove ti ritrovi a capire di non aver compiuto nulla di
concreto, di valido e coerente con la vera cultura del lavoro e, dunque,
vivendo attivamente con passione la loro professione.
Avendo
l’entusiasmo e l’ambizione di raggiungere sempre nuove mete, naturalmente col
proprio camion. Sapendo che la vita non è il solito film proiettato sullo
schermo o il racconto fatto dai media, ma è la storia che siamo in grado di
realizzare noi con i nostri mezzi, col nostro raziocinio e la nostra forza.
2) Il dialogo con i deboli - con
coloro che a causa della sfortuna, o per rispetto dell’affetto ricevuto dalla
famiglia che li invitava a non
intraprendere il mestiere del camionista, non hanno realizzato il proprio
sogno, in questo ne siamo forse la maggioranza, come paragonarsi all’acqua che
spinta dalle leggi naturali, si incanala dentro alle fessure della terra,
occupando con casualità o forse per destino gli spazi trovati liberi, come
percorrere uno sconosciuto labirinto sino a sgorgare passivamente in un luogo
non scelto e non desiderato.
Così la nostra vita ci ha portato ad occupare
passivamente un ruolo nel mondo del lavoro non idoneo ad appagare le nostre
velleità, a sfruttare le nostre attitudini, facendoci lavorare svolgendo
compiti senza particolare interesse personale, magari solamente per la
necessità finanziaria che soddisfa i bisogni essenziali, quindi subendo
l’ambiente di lavoro, senza credere in ciò che si fa, calandosi in una routine
quotidiana e cercando fuori dall’ambiente del lavoro nel tempo libero, quasi
per gioco, interessi e attività che possano sopperire a questa mancanza di
soddisfazione, purtroppo il mondo del lavoro è ancora gestito e regolato da
sistemi che non permettono alle persone di muoversi dentro di esso in modo da
arrivare ad un posto di lavoro confacente i loro interessi, permettendo a
chiunque di esprimersi con le proprie capacità e attitudini, rendendole serene
e appagate.
3)Il dialogo con gli appassionati come me, persone
spinte dalla volontà di entrare nel mondo degli autotrasporti, ognuna percorrendo
strade diverse perché condizionati dalla propria personalità e dalle loro
esperienze, cercano di conoscere aspetti della professione oppure degli
automezzi come anche delle merci che vengono trasportate, ma per arrivare a
questo occorrono le informazioni dagli addetti, dai professionisti del settore
ed allora far nascere il dialogo diventa molto difficile. Un’attività
affrontata per professione è imparagonabile alla stessa fatta per hobby, il
dialogo con i professionisti diventa un tentativo improbo, tanto da dividere
gli appassionati da loro e dunque di fargli vivere la passione solamente tra
loro. Chi lavora nel settore non avrebbe saputo cogliere il significato delle
nostre domande, dei nostri progetti che avremmo voluto realizzare per vivere
questa passione, tentativi inutili di dialogo, porte chiuse alle prime battute,
incomprensioni quando, forse ingenuamente, si accennava all’argomento per dare
inizio ad un discorso per noi costruttivo e, peggio ancora, quando si cercava
di inserirsi nell’ambiente anche solamente chiedendo di salire in cabina da
passeggero per partecipare a viaggi di lavoro. I vari tentativi fatti per
arrivare a vivere sul camion erano molto difficili, sembrava di dileggiarli, i
camionisti, sminuirne il loro lavoro, probabilmente ogni volta che si cercava
di iniziare una qualsiasi collaborazione rivedevano davanti ai loro occhi tutti
quegli sforzi e quelle fatiche fatte in tanti anni di lavoro e questi li
rendevano scettici di fronte ad una richiesta buttata lì da una persona che gli
appariva ignorante, ignara su quello che andava a chiedere loro. Con questo non
è che il dialogo si facesse difficile perché lo era sempre stato. Mi ricordo di
un giorno a scuola, avevamo undici o dodici anni, un compagno originario del
Veneto ad una mia domanda su cosa ricordasse riguardo ai camion in quella
regione mi rispose raccontandomi delle sue passeggiate in bicicletta che
avevano per meta una fabbrica, forse la Perlini, la quale produceva un modello
di camion da cantiere chiamato “Dumper”(scaricatore, facchino), discorso subito terminato quando ci
accorgemmo degli altri compagni stupiti dell’argomento trattato, dagli sguardi
capimmo che era meglio parlare d’altro, forse di cose più alla moda, più
costruttive di quell’immagine conformistica che faceva tanto tendenza,
specialmente fra i tenagers, vedi argomenti artistici commerciali e
immaginifici di un apparire moderno e che magari seguisse i dettami della
nascente pubblicità che appariva sempre più insistentemente sui media di
allora. Discorso chiuso quindi e, in famiglia poi, a quelle macchine manco
bisognava pensarci, troppo sconosciute e pericolose, i disagi, il distacco con
l’idea di una vita passata lontano dalla famiglia, era una scelta completamente
da scartare. Ancora oggi un camionista, figlio di un contadino, dopo qualche
tempo di gavetta si presentò in paese, davanti al padre, con un meraviglioso
nuovo FIAT 691 a otto assi, ribaltabile sia motrice che rimorchio, un mezzo a
metà degli anni settanta fantastico, alla vista di tutto questo il padre
snobbandolo appellò il figlio ai suoi amici compaesani col nome di
“industriale”, tanto si distaccava l’attività del giovane rispetto alla
tradizionale del genitore.
Con questo potrei dire di avere illustrato una
situazione molto scoraggiante per arrivare a concretizzare il sogno, ma pur con
fatica questa è una sfida che mi sono proposto di portare avanti, anche con
questo lavoro, quello che scrivo mi da modo di buttare un sasso nello stagno
delle persone animate da vera passione, per noi che ci consideriamo a casa
quando siamo dentro la cabina di un camion. Considero molto positivamente usare
qualsiasi mezzo che permetta alle persone di dialogare, come in questo caso
sarebbe una vittoria poter fare esprimere qualcuno riguardo all’argomento della
nostra passione, cioè i camion e l’autotrasporto, ci saranno sicuramente
appassionati che senza paura avranno qualcosa da dirci nel merito, con
esperienze e ricordi, testimonianze che unite insieme fanno la storia del
trasporto con i camion in Italia. E’ importante poter dialogare, trovare delle
persone come gli amici del C.I.C.S., con le quali finalmente ci si può
esprimere liberamente, senza subire giudizi, avendo risposte per assecondare la
conoscenza sull’argomento da persone che con le loro esperienze ti possono
spiegare avendo vissuto la realtà dell’ambiente come anche dei suoi problemi.
Loro ti possono raccontare delle soddisfazioni oppure anche delle delusioni di
chi guida questi mezzi, o altro ancora, come le norme raccolte nel codice della
strada, che condizionano i comportamenti sulle strade degli appartenenti a
questo settore sino a creare usi e scelte individuali, dettate dalle
interpretazioni personali che ognuno di noi fa nel consultare una norma tanto
da fare scaturire le malizie del mestiere. Il dialogo poi, se oltre ai soci del
C.I.C.S. che hanno come obbiettivo principale il restauro dei mezzi d’epoca, si
estende a tutte quelle persone capaci, con la loro fantasia, di diramare
l’argomento su altre iniziative che lo possono rappresentare o raccontare,
ugualmente importanti per sostenere la passione. Pensiamo ad esempio a chi
costruisce gli automodelli in scala, precisi sin nei minimi particolari, sono
pochi meravigliosi artigiani che profondono la loro passione e le loro capacità
nel realizzarli uguali ai veri tanto da farci stupire nel vederli alle mostre
specializzate, oppure i fotografi, presenti da sempre perché la loro epoca
nacque prima degli autotrasporti, a tramandarci le immagini scattate
nell’immortalare un momento strappato in un attimo particolare di qualche
avvenimento oppure in pose statiche di presentazioni od occasioni celebrative. Le
compagnie cinematografiche ci hanno fatto assistere a pellicole come “Fari
nella nebbia” o “Il bestione” scritti da appassioni per il grande pubblico delle
platee dei cinema, interpretati dai più famosi nomi dello spettacolo sicuri che
questi avrebbero fatto un enorme successo perché la gente era di certo
interessata, ma possiamo anche citare chi si occupa di organizzare raduni o
passerelle dei mezzi storici, infaticabili amici che nell’ombra, senza mai
apparire appunto, prestano la loro fatica per far conoscere autobus e autocarri
ai cittadini dei tanti Comuni che ospitano le manifestazioni, chi organizza le
mostre dove possono avvenire gli scambi anche delle parti di ricambio utili per
i restauri, importanti per far ritornare a viaggiare i “nonni” dopo le cure
che, quei pochi meccanici e carrozzieri ancora capaci ed attivi oggi come ai
tempi della loro gioventù, riescono a dargli, magari rammentando tempi
durissimi perché chi insegnava loro non badava certo a gentilezze o garbati
modi nel rivolgerglisi in quanto un mestiere andava acquisito provando passione
tenacia e interesse. Credo perciò che per questo sia importante il dialogo, per
tener viva la passione, perché è con la stima e il legame tra la gente che si
riesce a sostenere la memoria e la continuità per ciò che noi ora consideriamo
un patrimonio, un’epoca da inserire nella storia dell’umanità.
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